Sono bloccate dal novembre scorso a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, le 24 famiglie italiane che si erano recate lì per incontrare i bambini che avevano adottato, chiudere le pratiche relative all’adozione internazionale e tornare con i loro nuovi figli in Italia.
A causa di presunte irregolarità riscontrate nelle procedure di adozione, a settembre il Dipartimento per l’Emigrazione congolese aveva comunicato che i permessi di uscita ai bambini adottati erano stati sospesi.
Da più di un mese, quindi, le coppie italiane si trovano a Kinshasa, in attesa di un nulla osta che possa consentir loro di portare a casa i loro figli adottivi.
A Natale il presidente Enrico Letta aveva riferito di una telefonata intercorsa con Augustin Matata Ponyo Mapon, durante la quale il premier congolese aveva assicurato «circa la volontà delle autorità di Kinshasa di procedere, con la massima considerazione e nello spirito di amicizia esistente tra i due Paesi, al riesame dei casi, in tempi rapidi e conformemente alle procedure vigenti».
E proprio al presidente Letta, Roberta, una delle mamme bloccate in Congo con i bimbi adottati, ha inviato il 29 dicembre scorso una lettera straziante, di rabbia, frustrazione ed amarezza per provare a sollecitare la soluzione di un doloroso conflitto politico-burocratico.
Questo il testo della lettera:
Carissimo Presidente del Consiglio,
sono una delle 24 mamme che in questo momento si trova in RDC. Il 25 Dicembre, qui in Congo, abbiamo festeggiato il Santo Natale e nonostante tutte le immense difficoltà che stiamo vivendo siamo riusciti a rendere felici i nostri figli e tutti i 97 bambini che si trovano nell’orfanotrofio. Per magia un papà si è trasformato in Babbo Natale e ha portato un piccolo dono ad ognuno di loro; qualcuno ha cucinato per tutti «italiano», forse per sentirsi un po’ più a casa.
Abbiamo trascorso un giorno sereno con nel cuore caro Presidente un sogno grande che arrivava dal nostro paese, dall’Italia, e dall’uomo che la rappresenta in questo momento che, nella vigilia di Natale aveva donato a noi e a tutti i nostri familiari un speranza. Una parte di noi era pessimista, diceva che Lei non avrebbe risolto nulla, ma nella mia testa, nel mio cuore, caro Presidente, era riposta una assoluta fiducia.
Mi sono aggrappata alle Sue parole, alle Sue dichiarazioni fatte ai giornali, che nel giorno di Natale mi sembravano un regalo immenso. Tutte le lacrime versate sarebbero state spazzate via, tutto il dolore provato sarebbe svanito nel nulla, Lei, signor Presidente, ha fatto una telefonata, ha scritto una lettera al Primo Ministro Congolese che ha fatto consegnare personalmente dalla sua delegazione, inviata in Congo «per una azione risolutiva, che avrebbe dovuto riportarci a casa con i nostri figli in tempi rapidi».
Lei, signor Presidente, è stata la nostra stella cometa la notte di Natale, una stella cometa che ha smesso di brillare nel giorno 27 dicembre, quel giorno tutte le nostre speranze di tornare a casa come famiglie e non come singoli individui si sono infrante quando la stessa delegazione da Lei inviata ci ha informato che non saremo tornati a casa coni nostri figli. Lei, da genitore, può o meglio riesce ad immaginare per un solo istante cosa è accaduto in ognuno di noi, in ogni donna presente lì, in ogni mamma che per anni ha cercato il proprio figlio, e la vita l’ha portata qui in Congo. Ora io Le pongo le mie di domande, e se vuole, carissimo Presidente, può rispondermi anche dopo le Sue vacanze Natalizie.
Mi dice come faccio a spiegare a mia figlia Elisabeth di 7 anni, che ha visto la guerra, ha sofferto la fame, ha vissuto l’abbandono, che la sua mamma e il suo papà devono ripartire senza di lei. E non c’è calendario che io possa spiegarle, perché non c’è data, non c’è certezza.
Caro Presidente, come facciamo a fare amare l’Italia ai nostri figli congolesi, se questa Italia non riesce a riportare a casa 24 delle sue famiglie? Come faccio a dire ad Elisabeth che in Italia esistono uomini e donne al governo che sono prima di tutto genitori e poi politici, come faccio a rassicurarla quando stringendomi forte forte e con le lacrime agli occhi mi dice: «Mamma, papà ed Elisabeth all’Italie… io non più qui».
Ora, caro Presidente, mi mandi giù una delegazione per questo.
Buon anno carissimo Presidente del Consiglio.