“Il lavoro nobilita l‘uomo” … è nota a tutti questa espressione del bisogno e della necessità di lavorare e produrre, questo modo di dire ricorrente nel parlato italiano.
In effetti tale affermazione raffigura ed esprime più di una verità in tema di lavoro:
– il lavoro nobilita, ovvero innalza, arricchisce e solleva l’essere umano perché vero è che lavorando si canalizzano le energie verso un obiettivo, lo si costruisce e concretamente si realizza un progetto;
– il lavoro rende autonomi, padroni di una “ricchezza” economica, frutto delle proprie fatiche e capacità. E tale autosufficienza economica a sua volta permette di realizzare se stessi e soddisfare i propri desideri … sposarsi e fare famiglia diviene con il danaro in tasca un sogno possibile;
– il lavoro rende chi lo pratica “forza vitale della Nazione”! L’individuo lavorando si inserisce nel tessuto produttivo del Paese, coopera alla crescita ed allo sviluppo collettivo … in poche parole chi lavora produce e chi produce – a qualunque livello lavori – “costruisce, potenzia e sostiene” con le proprie fatiche la Nostra Italia.
Il lavoro, come appena descritto, fonda e sostiene la vita, ogni vita dignitosa e civile … ed è per questo che nella Costituzione, per sottolineare l’importanza della forza lavoro di ogni cittadino, è scritto: << L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro>>.
<< L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro>> – articolo 1, primo principio fondamentale della Costituzione del Nostro Paese
… sarebbe il caso, oggi, a fronte dei dati provvisori appena comunicati dall’ISTAT, di aggiungere alla celebre affermazione che corona la carta costituzionale un grosso punto interrogativo:
<< L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro?>>
Io da donna, madre di due figli, cittadina viva e vitale me lo domando, mi chiedo quanto poco valore abbia oggi il lavoro e la dignità del lavoratore, della produzione e del rendimento in Italia. Per il destino dei miei bambini mi interrogo … dove va questo Paese?
L’ISTAT rivela che:
* il tasso di disoccupazione giovanile è ad oggi pari al 28,9% ed il livello raggiunto è il più alto dal gennaio 2004;
* 1 giovane su 3 (tra i 15 ed i 24 anni) è senza occupazione;
* la disoccupazione femminile è pari al 10%.
Cosa dobbiamo aspettarci?
Di fronte a questo interrogativo mi permetto un ragionamento casalingo, spicciolo e se vogliamo essenziale, ecco che penso ai costi medi dei prodotti indispensabili per accudire un neonato:
– un pacco di pannolini si aggira intorno ai 5,00 euro;
– una crema per il culetto arrossato costa all‘incirca 6,00\8,00 euro;
– mediamente per un ciuccio si spendono 4,00 euro;
– per un vestitino non di ottima qualità occorrono circa 20,00 euro, poi ci sono i body, le bavette, calze e calzini;
– spesso è necessario il latte in polvere, una scatola (che può esaurirsi anche in 5 giorni) arriva a costare intorno ai 12,00\15,00 euro.
Ed il pupo dove lo mettiamo una volta nato? Certamente nella carrozzina ed allora – se non c’è chi ce ne presta una usata – ecco che ci tocca affrontare l’ennesima spesa 300,00 euro almeno per un prodotto non di prima qualità.
Sulla scorta di queste considerazioni direi che alla domanda <<Cosa dobbiamo aspettarci?>> in primis si può rispondere: un Italia senza figli. Già si legge che siamo il paese delle culle vuote, andando avanti di questo passo diverremmo “il paese senza culle”!
Ancora c’è da domandarsi, a monte, cosa fa e che prospettive ha un giovane che non abbia reddito, che non possa contare sulla stabilità di un lavoro e di un introito, che negli anni non abbia potuto costruirsi una professionalità?
L’ISTAT ragiona sui giovani tra i 15 ed i 24 anni, sulle forze vitali che dovrebbero costruire se stesse per costruire il paese. Il quadro che emerge è sconfortante e sconcertante: