Giovedì 3 ottobre 2013, di fronte le coste di Lampedusa, perdevano la vita 366 immigrati a seguito dell’incendio, e del consecutivo rovesciamento e affondamento, del barcone che li avrebbe dovuti trasportare in Sicilia.
Un’immane tragedia che scioccò il nostro paese, dividendo i pensieri di molti italiani, e per la quale fu proclamato il lutto cittadino.
Ad oltre un mese da quel tragico evento, nuove scioccanti verità sono emerse dal racconto e dalle testimonianze di alcuni sopravvissuti che hanno trovato la forza e il coraggio di denunciare gli organizzatori di quella che in molti definiscono una “tratta di clandestini”.
Grazie ad essi, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire quello che da sempre noi erroneamente chiamiamo il “viaggio della speranza” ma che oggi si rivela essere un vero e proprio “viaggio dell’orrore”.
Gli appartenenti all’organizzazione criminale transnazionale sequestravano intere carovane di migranti: li prelevavano mentre erano intenti ad attraversare il deserto tra il Sudan e la Libia per poi trasportarli in un centro di raccolta (descritti dagli inquirenti come veri e propri campi di concentramento – ndr) situato a Sebha, in Libia.
Qui, come afferma Maurizio Scalia, procuratore aggiunto DDA di Palermo, parole poi riportate in un servizio di TgSky24, subivano maltrattamenti di ogni genere, nell’attesa che un familiare pagasse il loro riscatto.
“Ciascuno di loro – racconta il procuratore aggiunto – doveva contattare i familiari all’estero e far versare su dei conti correnti una cifra tra i 3.300 e i 3.500 euro”.
“A pagamento avvenuto – si legge su TgSky24– i profughi venivano trasferiti sulla costa libica dove veniva preteso un’ulteriore ammontare di circa 1.500 euro per il “biglietto” della traversata verso al Sicilia”.
Ma ben più agghiaccianti sono i racconti di coloro che hanno vissuto all’intero dei “centri di raccolta”: donne violentate ripetutamente, uomini minacciati e picchiati con manganelli, torturati con scariche elettrice, etc.
“Sono stata oggetto di violenza sessuale da parte di quest’uomo e dei suoi complici – racconta una 18enne eritrea sopravvissuta al tragico sbarco di cui sopra, una delle testimonianze che ha contribuito alla cattura di uno dei responsabili – Infatti una sera dopo essere stata allontanata dal mio gruppo sono stata costretta con la forza dal somalo e da due suoi uomini ad andare fuori, gli stessi dopo avermi buttata a terra e successivamente bloccata alle braccia ed alla bocca mi hanno buttato in testa della benzina provocandomi un forte bruciore al cuoio capelluto, alla pelle del viso ed infine agli occhi, successivamente, non contenti i tre a turno hanno abusato di me”.
“Siamo stati torturati e maltrattati per giorni dopo essere stati sequestrati al confine tra il Sudan e la Libia da un gruppo di somali a bordo di pick up sotto le minacce delle mitragliatrici – dichiara un altro ragazzo – Arrivati in una specie di campo, alcuni di noi sono stati picchiati con manganelli e sono stati sottoposti a scariche elettriche”.
A compiere tali riprovevoli atti gruppi somali e libici.
Testimonianze che, lo scorso 25 ottobre, hanno consentito alla Direzione distrettuale antimafia di catturare uno dei capi dell’organizzazione criminale.
Si tratta di un ragazzo somalo di 24 anni ora accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, stupro di gruppo e torture e tratta di esseri umani.
Riconosciuto da alcuni naufraghi sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre, ospiti presso il centro d’accoglienza di contrada Imbriacola, avrebbe persino rischiato il linciaggio, evitato grazie all’intervento della polizia.