Spesso la cronaca accende i riflettori sui Rom, per essere politically correct questi ospiti del nostro Stato non sono definibili zingari e per essere precisi spesso non sono più definibili nemmeno nomadi perché tendono a stanziarsi anche lungamente in campi stabili organizzati nel territorio italiano, campi messi in piedi dentro e non solo ai margini di città più o meno grandi e più o meno popolose.
La cronaca racconta di furti, di episodi di intolleranza, di sospetti e spesso racconta di bambini sfruttati e strumentalizzati per fini non eticamente condivisibili né tollerabili.
Diciamo subito che i bambini figli dei Rom vivono la promiscuità del campo e sottostanno alla cultura dell’accattonaggio, del nomadismo e dell’isolamento sociale (inteso come assenza di integrazione culturale) per dovere di nascita.
Di fatto siamo abituati a vedere i bambini Rom più o meno piccoli fermi ai semafori, agli angoli delle strade e fuori le chiese con le mani tese per elemosinare qualche spicciolo. E più è piccolo il mendicante più noi (italiani, lavoratori, contribuenti e cittadini di uno Stato che ammette i flussi nomadi) cediamo all’elemosina.
Ovvio è che dinnanzi ad ogni bambino Rom si apre nel cuore di chiunque una sola domanda: <<Perché?>>
Ed, a fronte della distanza culturale che separa noi da questi popoli diversi e nomadi, è naturale domandarsi perché il destino di un bambino debba essere tanto limitante, perché un piccolo cucciolo d’uomo debba essere privato del gioco, della spensieratezza, della scuola, dell’educazione e della sicurezza.
Oggettivamente rimanere a un semaforo o a un ciglio di strada, per quanto espressione di una cultura differente dalla nostra, non è al giorno d’oggi sicuro, come non è sicuro non godere di controlli medici appropriati all’età, non essere inseriti in registri anagrafici o non avere garanzie igienico sanitarie nella propria casa.
Di possibili soluzioni se ne sono ipotizzate molte, nessuna riesce però a risolvere il problema molto “filosofico” del rispetto delle diversità culturali. Si corre sempre il rischio di confondere legge di Stato, regole civili e razzismo; tuttavia il garantismo non dovrebbe mai significare assenza di regole perchè libertà non significa irregolarità.
L’accattonaggio e la vita nomade sono espressioni culturali non limitabili. E questa la risposta che con molta diplomazia si oppone alle istanze che gli italiani muovono avverso questi ospiti certamente non tendenzialmente integrati nella società.
Integrazione dovrebbe significare coesione sociale ovvero inserimento all’interno delle maglie dello Stato ospite (lavoro, famiglia e casa dovrebbero corrispondere con l’offerta del territorio ospitante e chi si integra dovrebbe essere capace di fondere i propri costumi e usi a quelli dello Stato in cui si insedia).
I nomadi per status culturale non si insediano e perciò non si adattano, quindi non si integrano.
<<E i bambini?>>
Rispetto ai bambini i problemi politici, etici e legali sono più d’uno e vanno dall’uso strumentale del minore per l’accattonaggio alle condizioni igienico sanitarie in cui vengono lasciati vivere.
A Roma gli agenti dell’Aticrimine stanno conducendo una delicata indagine sull’utilizzo dei bambini per fini d’accattonaggio:
gli investigatori hanno appena arrestato una donna Rom di 29 anni. La giovane “presunta madre” sedeva in strada, anche sotto la pioggia, tenendo tra le braccia un fagotto umano, un bambino di pochi mesi che le dormiva in grembo senza mai lamentarsi mentre la ragazza chiedeva l’elemosina.
L’atteggiamento del bambino, che non dimostrava alcuna vivacità né vitalità, ha indotto gli agenti ad intervenire.
Così si è scoperto che nel biberon del piccolo era stato versato un antipiretico, questo medicinale tra gli effetti collaterali annovera la sonnolenza e di fatto, sopratutto se somministrato in assenza di febbre alta, avrebbe il potere di funzionare come un sonnifero persino su un adulto (figuriamoci su un bambino).
Il bambino, 8 mesi appena, è stato affidato ad una casa famiglia e le sue condizioni di salute sono state debitamente monitorate. La donna è stata denunciata a piede libero.
L’identificazione del bambino e della donna è difficile proprio per le condizioni in cui i Rom vivono; la donna ha dichiarato di essere la mamma del bambino e di aver raggiunto l’Italia da pochi mesi. Le autorità però, grazie agli archivi della polizia di Stato, hanno scoperto che quella stessa donna era stata identificata lo scorso anno a Tivoli dove stanziava in un altro campo nomadi.
Recentemente i campi nomadi tra Nuoro e Oristano sono stati nell’occhio del ciclone, battuti a tappeto dalla polizia alla ricerca delle gemelline Schepper. Un collaboratore di giustizia avrebbe collocato Alessia e Livia vive tra i nomadi di quei campi, la notizia gli sarebbe arrivata in carcere da uomini Rom che avrebbero vissuto in quegli insediamenti.
Anche la piccola Denise Pipitone è stata più volte cercata nei campi nomadi.
In effetti questi esempi non sono estemporanei se il problema è quello di monitorare i bambini che vivono tra i nomadi adulti, garantendo loro certa identificazione ed un sicuro controllo.
Sta di fatto che l’interesse superiore del fanciullo dovrebbe essere quello ad un sano ed equilibrato sviluppo, la vita dei piccoli non dovrebbe prescindere dalle più elementari tutele: in primis il diritto alla salute dovrebbe essere garantito ad ogni bambino.
La polizia teme che l’uso di farmaci volti a “sedare” i neonati ed i piccoli bambini sfruttati durante l’accattonaggio sia diffuso, infatti le fonti giornalistiche riportano la notizia di più estese indagini in corso.