Parlando di “autonomia” dei bimbi ci sentiamo spesso padroni della definizione; in realtà definire le autonomie dei nostri cuccioli è compito arduo, non solo per i cambiamenti nel tempo in rapporto all’età evolutiva ma anche per un’oggettiva difficoltà ad individuare caratteristiche e peculiarità globali per una meta che rimane molto soggettiva.
Dunque il concetto di autonomia è personale e si perfeziona grazie al background educativo e culturale del bambino in relazione al contesto familiare in cui vive.
Il concetto di autonomia che arriva al bambino molto dipende dal modo in cui il genitore lo percepisce, per cui un genitore indipendente, fiducioso e sicuro sarà più propenso a concedere libertà di sperimentare al figlio, mentre un genitore insicuro, timoroso e dubbioso verso i terzi sarà più restio a diminuire l’attività di controllo sul figlio.
Indubbiamente nella società di oggi assistiamo ad un aumento di pericoli che potenzialmente potrebbero investire i nostri figli. I genitori sono apprensivi perché coscienti delle crescenti paure.
Basti pensare all’aumento della diffusione della delinquenza nelle metropoli; un tempo si giocava nei cortili, luoghi in cui il bambino si metteva a confronto con i pari, sperimentando le proprie autonomie lontano dall’occhio vigile della madre che spesso rimaneva in casa….quanti bambini hanno ora la possibilità di farlo?
Ma allora cosa vuol dire autonomia del bambino, e sopratutto quando è il momento di renderlo autonomo?
Autonomia vuol dire lasciare che il bruco costruisca il suo bozzolo, che lo rompa e che la farfalla che ne esce sia libera di volare….
Autonomia vuol dire lasciare che i nostri figli crescano….
…e questo accade fin dal primo momento di vita fuori dall’utero della mamma, quando avviene il primo distacco, quando iniziano per la prima volta a respirare autonomamente.
Un genitore di un bimbo di pochi mesi penserà all’autonomia del proprio figlio quando questi raggiungerà alcuni obiettivi molto pratici come: mangiare e bere da solo, addormentarsi anche senza la rituale presenza del genitore, staccarsi dal seno materno (poiché oltre ad alimentazione il seno costituisce un legame di continuità tra madre e figlio), essere in grado di giocare in una stanza anche da solo e non con la presenza costante di un adulto ecc…
La conquista di queste autonomie costituisce un successo per i genitori, per i bambini sono affermazioni di sè, cui si arriva non senza dolore, poiché ogni distacco, allontanamento dalla “base” (il genitore) comporta affrontare incognite e ciò che non conosciamo è normale che ci spaventi.
In questo percorso di crescita del bambino, un caposaldo deve essere irremovibile e cioè che la mamma (o il papà) sono sì il nostro punto di partenza, la nostra provenienza, ma sono anche una base solida cui ritornare. Il bambino deve riuscire a capire che può permettersi di sperimentare di esplorare perché sa che quando vuol far marcia indietro, troverà sempre le braccia dei genitori pronti ad accoglierlo. Ciò andrà a rafforzare le sue sicurezze, la sua coscienza del sè, la fiducia nell’adulto, step necessari per progredire nell’esplorazione del mondo.
Affrontando nuove esperienze, le incognite, il bimbo potrà sentirsi impaurito ed userà gli strumenti a sua disposizione (il pianto, l’urlo) per richiamare l’attenzione dell’adulto ed essere da lui consolato.
Ovviamente questi progressi vanno incentivati senza caricare il bambino di ansie per il mantenimento di prestazioni standard, ricordiamoci che ciascun bambino ha i suoi tempi che possono essere dilatati o contratti a seconda delle proprie caratteristiche soggettive. Noi adulti possiamo aiutare i nostri bimbi rinnovando il nostro ruolo di contenitore affettivo e punto di riferimento…..”mamma e papà ci sono anche se Luca gioca nella sua stanza mentre mamma prepara il pranzo in cucina”…..
Può essere utile, perché il bimbo si abitui a giocare da solo nella sua stanza, proporgli giochi di sua preferenza, sedersi dapprima vicino a lui, giocando non con lui ma con un altro gioco passandogli il messaggio della presenza del genitore senza che l’attenzione sia necessariamente catalizzata su di lui; poi si può andare in un’altra stanza, parlando col bimbo, facendo in modo che il suono della voce gli ricordi la presenza del genitore “non vedo la mamma ma la sento, per cui c’è”.
Una costante che non dovrebbe mai mancare nel genitore è l’incoraggiamento. Un atteggiamento propositivo, producente, positivo incoraggia e dunque aumenta la fiducia del bimbo e lo sostiene verso nuove esplorazioni. Succede anche per noi adulti la stessa cosa, quando abbiamo dei sostenitori, siamo più decisi nel perseverare nelle nostre azioni. E’ un pò quello che succede alle squadre di calcio che giocano in uno stadio, incalzati dai tifosi che innalzano cori di incoraggiamento. Ad un figlio che non riesce a costruire una torre usando le costruzioni, non dobbiamo sostituirci e costruirla noi, ma incoraggiamola a fare una costruzione di altro tipo, magari più bassa, con una base più solida, che sia alla sua portata nel tentativo di riuscita.
Anche il mangiare da solo è una grande conquista e riveste un ruolo che va oltre alla nutrizione fine a sè stessa. Il bimbo con la bocca manifesta le prime esplorazioni, porta alla bocca oggetti per tastarne la consistenza, il materiale (morbido, ruvido, freddo ,caldo ecc….).
Il problema maggiore nel raggiungimento dell’autonomia nell’alimentarsi è che molti bimbi sono abituati ad essere imboccati e non hanno sperimentato il piacere di “pasticciare con le mani, di paciugare“. Si può aiutare il bimbo ad entrare in contatto diretto col cibo, permettendogli di maneggiarlo o offrendogli un secondo cucchiaino col quale potrebbe decidere di imitare il genitore e portarsi il cibo alla bocca; visto che i bimbi viaggiano molto per imitazione.
Anche dormire da solo è una grande meta da raggiungere, ma per arrivare a questo molto contano le abitudini pregresse, impostate fin dalla nascita, che sono tanto più difficili da superare tanto più sono radicate. Un bimbo che ha sempre dormito nel lettone dei genitori avrà molte più difficoltà a passare a dormire in un proprio letto rispetto a colui che il lettone l’ha visto in rare occasioni. Ecco allora che una carezza, una coccola, una storia raccontata o letta diventano un rituale che accompagna un “arrivederci”, una rassicurazione. Quando il bimbo è molto piccolo lo si può abituare a dormire da solo con l’ausilio di un gioco di quelli che si muovo, tipo giostrine per intenderci, che attirino la sua attenzione, distogliendolo dal pensiero fisso del richiamo immediato della mamma tramite il pianto. Quando è tranquillo nel lettino appena sveglio, si può lasciare solo qualche minuto, mentre se il pianto c’è ma non è un pianto di disperazione ma solo un modo per attirare l’attenzione, si può parlare lui da una stanza adiacente, in modo che senta la vostra voce e si rassereni (la mamma c’è, sta venendo a prendermi).
Un sano sviluppo del senso di autonomia necessita di un atteggiamento che non sempre viene tenuto dai genitori, la coerenza. La certezza e la coerenza devono sempre essere mantenute “se si dice no”, deve esserlo e non si cambia idea, tanto più quando a far vacillare le nostre decisioni sono l’insistenza dei figli e la nostra stanchezza, due armi a doppio taglio che possono minare la nostra credibilità. Tramite atteggiamenti di coerenza si delimitano dei confini entro cui il bimbo può muoversi liberamente e che costituiscono la sua certezza, la sua sicurezza. Con risolutezza, che non significa durezza, ma decisione, non si corre il rischio di far cadere il bimbo nella confusione. Entro questi limiti il bimbo accresce e fortifica la sua struttura, sperimenta; il genitore saprà poi modificare questi confini a seconda della crescita e dell’età. Questi paletti costituiscono principi saldi per lo sviluppo armonico del bambino che ne impara a riconoscere l’importanza e li rispetta. Quando non sono chiari i confini entro cui il bimbo può muoversi, il rischio è grosso; il bambino non sa cosa è giusto e cosa è sbagliato se si può fare o meno, poiché qualche volta gli sono concessi certi atteggiamenti, mentre altre volte no. Questo stato di confusione alimenta insicurezza e spesso anche ansia per quella mancanza di certezze sulle quali contare nei momenti di sfiducia.
Anche la pratica del rinforzo, come atteggiamento del genitore, può contribuire ad un sereno raggiungimento dell’autonomia del figlio. Il rinforzo si traduce a livello pratico in un atteggiamento non denigratorio di fronte ad un insuccesso del figlio, ma anzi ad un rafforzamento delle possibilità tramite l’incitamento. Per cui mai dire di fronte al bambino piccolo “che pasticcio hai fatto, ora dobbiamo ripulire tutto” ma piuttosto “sei stato molto creativo, la prossima volta useremo il foglio per i disegni e non il muro di casa appena imbiancato!”.
E’ vero…il mestiere del genitore è il più difficile in assoluto, giornalmente ci troviamo a fare i conti con l’errore o la paura di sbagliare. A volte ci sentiamo inadeguati, impreparati e il dubbio riempie un pò i nostri pensieri. Avere dubbi significa però riflettere e tramite la riflessione, anche personale, ci mettiamo in discussione per affinarci e per essere genitori migliori. Un errore che non dobbiamo mai commettere però, è quello di castrare l’autonomia dei nostri figli, che stanno crescendo. A volte li vorremmo sempre piccoli, che rimangano tra le nostre braccia, tutti per noi, perché noi per loro a quell’età siamo il mondo…ma i nostri bimbi devono crescere e lo devono fare per potersi affermare come individui. Noi li guarderemo con gli occhi di chi non tiene più in braccio il fagottino di 5 kili che ci osservava con lo sguardo perso nel nostro, ma con l’orgoglio di un genitore che osserva il proprio figlio crescere.