Allattare con le protesi al silicone è possibile ed è sicuro, lo è, senza che il bebè corra alcun rischio, quando l’impianto è garantito.
Gli impianti al silicone moderni e certificati (come i Natrelle Allergan, per citare una tra le marche più affidabili) sono garantiti per 10 anni da ogni tipo di rottura, assicurano il mantenimento del silicone nella capsula testurizzata delle protesi e garantiscono che nessuna fuoriuscita di materiale possa in alcun modo inquinare il latte durante le poppate.
Inoltre le protesi garantite sono costituite di solo silicone medico, appositamente studiato per gli impianti chirurgici e quindi per essere custodito dal corpo senza reazioni fisiche dannose (quantomeno senza reazioni comuni).
Oltretutto un buon incapsulamento delle protesi (cioè una buona stabilizzazione degli impianti mammari) consente di allattare senza pericolo di dislocamenti delle protesi, quindi di spostamenti del seno.
Le donne che indossavano protesi PIP erano certe di avere impianti garantiti ed erano sicure che nessun pericolo incombesse sulla loro salute.
Va detto che le PIP non possono essere considerate semplicemente impianti non a norma, queste protesi sono state considerate “fuori legge” perché prodotte con silicone industriale assolutamente incompatibile con la pratica medica per la quale venivano adoperate. Il silicone industriale, considerata anche la fragilità delle protesi PIP (le cui percentuali di rottura sono altissime), può avere inquinato il latte materno?
Attualmente tutte le protesi di marca Pip vengono sostituite, in molti ospedali italiani sono stati ideati e messi in pratica protocolli specifici ed agevolazioni per la sostituzione degli impianti incriminati. Tuttavia le PIP hanno avuto una diffusione mondiale vastissima e quindi moltissime saranno state le donne che indossando tali protesi hanno allattato.
Si sta diffondendo nel web la drammatica storia di Luna Petagine, una bambina allattata al seno da una madre che portava le PIP. Lune è morta all’età di 5 anni per un tumore diagnosticato già a 18 mesi di vita.
La madre oggi si chiede se il silicone criminale delle PIP possa avere inquinato il suo latte e quindi il corpo di Luna.
La pagina Facebook dedicata a Luna consegna le immagini della breve vita di una bambina la cui morte merita oggi un approfondimento a sostegno della ricerca della verità chiesta anche dai famigliari.
Nell’agosto del 2008 a Luna fu diagnosticato un tumore al cervello per contrastarlo la bambina sopportò chemioterapie, radioterapie e ben 5 operazioni, ciascuna lunga otto ore. Più volte, nel tentativo di curarsi, nelle sale operatorie o durante le terapie, Luna ha rischiato di morire e più volte è riuscita a salvarsi, ciò sin quando il suo giovane ma martoriato corpo non ha ceduto al male ed alla fatica.
La forma tumorale che affliggeva Luna era violenta, solo il 15% dei malati nelle condizioni della piccola riescono a di sopravvivere.
Oggi la piangono mamma Lucy e papà Mario, il fratello Aldo di 7anni, e la piccola Enza, 4anni. La famiglia desidera che drammi come quello di Luna non si ripetano, con loro combattono tutti gli amici Facebook della famiglia, riuniti nella pagina dedicata alla bambina.
I medici avevano assicurato alla famiglia che la Luna, dopo l’ultima operazione, fosse guarita dal cancro. Invece nuove metastasi e recidive hanno minato la salute e la serenità della bambina impedendole di vivere il futuro. Tra l’altro la giovane età della bambina e il suo piccolo corpicino ad un certo punto non potevano più sopportare interventi operatori.
I genitori, il 1o luglio 2011, si sono sposati e Luna fu una delle damigelle, quell’angelo ha vissuto la gioia di testimoniare l’amore dei genitori, amore che oggi nel nome di quella bambina si rinnova in una richiesta chiara di verità.
Nel giugno del 2012 Luna ha mostrato segni di un evidente malessere ad un occhio, poco dopo ha perso un certo uso del braccio destro. Le terapie che continuava a seguire sembravano non funzionare più. Lo scorso agosto ha perso la lotta contro la sua malattia, malattia che nella pagina Facebook chiamano “questa malattia schifosa”. La pagina Facebook continua la sua attività per la raccolta fondi destinata ad altri bambini sfortunati.
L’interrogativo che il web lancia è però ulteriore: è possibile che esista un nesso di causalità tra le protesi Pip, indossate dalla mamma durante tutto l’allattamento, e la morte della bambina?