Lo svezzamento rappresenta un momento nodale della vita alimentare del bambino poiché con esso il piccolo smette di essere alimentato esclusivamente con il latte e viene introdotto nel “mondo delle pappe” divenendo divezzo.
Sebbene non esista un unico protocollo alimentare applicabile allo svezzamento, la maggior parte dei pediatri usano guidare le mamme attraverso preordinate e dettagliate tabelle alimentari. Infatti, normalmente, la prima pappa del pupo è a base di brodo vegetale, un leggerissimo brodino di patata e carota a cui non tutti i medici suggeriscono di unire verdure in foglie, come bietola o lattuga. I primi sapori sono quelli dei liofilizzati ed omogeneizzati, o comunque delle carni bianche cucinate al vapore senza grassi aggiunti e senza sale. I piccoli assaporeranno cremine di riso ed ai cereali, alimenti che, destinati alla primissima infanzia, sono anche privi di glutine.
L’introduzione graduale e controllata dei cibi caratterizza lo svezzamento tradizionale. Questo più comune protocollo alimentare sposta in avanti l’introduzione di talune pietanze come il pesce, le uova e la pesca, comuni esempi di “bontà” inizialmente “proibite” al piccolo.
Lo scaglionamento dei cibi, quindi la loro introduzione graduale e “a tappe separate” nella dieta dei bimbi, risponde ad una duplice esigenza:
attendere l’adattamento del piccolo alla nuova alimentazione e evitare l’immediata esposizione del bambino a alimenti potenzialmente allergizzanti.
Un diverso protocollo alimentare, meno diffuso e praticato, è quello denominato “Autosvezzamento” o “Alimentazione Complementare a Richiesta”.
In questa pratica alimentare cambiano completamente i principi guida dello svezzamento:
i genitori ed i pediatri “autosvezzanti” adottano una filosofia nutrizionale incentrata sul bambino inteso come soggetto capace di autoregolarsi.
Chi sceglie l’autosvezzamento parte da un assunto:
considera il piccolo dotato di una sana e precisa capacità di regolare le proprie esigenze in autonomia. In realtà la capacità di autoregolazione è riconosciuta pacificamente da tutti al neonato nutrito al seno; infatti, alla madre si dice di attaccare il bimbo a richiesta, ovvero quando vuole e per il tempo che desidera.
Attualmente, infatti, l’allattamento al seno a richiesta è comunemente riconosciuto come il più valido strumento nutrizionale per il neonato e si predilige l’uso esclusivo del latte materno per l’alimentazione del piccolo sino al sesto mese di vita (queste sono le linee guida accolte anche dall‘OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità).
Chi “autosvezza”, dunque, non smette di affidarsi alle capacità di autoregolazione dei piccoli. Sulla base di questo presupposto i genitori autosvezzanti offrono al bambino l’opportunità di entrare in contatto con il “mondo della pappa” senza “soccombere”ad alcun protocollo alimentare, ma semplicemente accomodando il pupo in tavola con la famiglia e lasciandolo libero di accedere al cibo di mamma e papà.
A scanso di equivoci chiariamo subito che una condizione indefettibile dell’”autosvezzamento” è la sana cultura alimentare della famiglia.
Quando mamma e papà aderiscono alla pratica della “alimentazione complementare a richiesta” adottano uno stile di vita alimentare assolutamente pulito e conforme alle esigenze del bambino. In pratica bandiscono dalle loro tavole il “cibo spazzatura”.
L. Piermarini, medico pediatra, massimo referente italiano in tema di autosvezzamento, definisce la corretta alimentazione una “competenza della famiglia”.
La definizione “autosvezzamento” può trarre in inganno, essa è facilmente equivocabile, il bimbo non si svezza autonomamente, perché di fatto non ha la capacità di procurarsi da solo il cibo, piuttosto sceglie tra i cibi che consapevolmente la madre offre in tavola e decide cosa, quanto e quando saggiare.
L’assaggio è l’ingresso al cibo, il primo contatto che crescerà col crescere dell’interesse del bambino, del suo appetito e del suo affidamento agli alimenti.
Più calzante è la definizione di “alimentazione complementare a richiesta”, accomodando il bimbo in tavola, mettendo a sua disposizione ed a disposizione dell’intera famiglia sano cibo il bambino sarà reso libero di soddisfare la sua istintiva curiosità alimentare. Occorrerà del tempo prima che il piccolo mangi in modo sufficiente, ovvero soddisfi le sue esigenze nutrizionali attraverso il solo cibo solido, in attesa di questo momento il bambino continuerà a trovare il suo nutrimento nel latte. Ecco perché tale alimentazione si definisce complementare, essa instaura un regime misto tra alimento solido e latte.
L’assunto fondante di tale pratica alimentare, che è l’autoregolazione del bambino, impone a chi aderisca alla alimentazione complementare a richiesta di non stabilire neanche un preciso momento di inizio dello svezzamento. Il bambino, appena appare pronto alla condivisione fisica della tavola (il che avviene in genere intorno al 6° mese, ma anche dopo), verrà accomodato accanto ai genitori e prenderà parte al pranzo. Il piccolo proverà quando intenderà farlo, rispondendo alla sua curiosità; in questo modo sceglierà il cibo e non risponderà ad una offerta alimentare (come invece avviene per lo svezzamento tradizionale).
Se da un lato questa pratica diminuisce il trauma da prima pappa – che solo taluni bimbi subiscono, avvilendosi dinnanzi al cucchiaino -, dall’altro innesca spesso un lento processo di approccio al cibo, alcuni bimbi possono impiegare molti mesi a fare amicizia con gli alimenti e quindi a passare dagli assaggi ad un vero e proprio pasto. Per i fautori dell’autosvezzamento le mamme devono pazientemente continuare a confidare nelle capacità di autogestione dei figli.
Non esiste per gli autosvezzanti una tabella alimentare da imporre al bambino, quindi il piccolo può mangiare ogni cosa, secondo il suo gradimento, purché, naturalmente, i cibi siano cucinati in modo sano (pochi grassi e pochi condimenti, il sale è comunque ammesso).
L’assenza di un “calendario alimentare” annulla l’intero discorso della precauzione rispetto alle allergie che è, invece, caro allo svezzamento tradizionale.
Chiaro è che l’adesione all’uno o all’altro modello è una personale scelta di affidamento che deve tenere conto di molti fattori, parecchi certamente socioculturali. Per esigenze di completezza va trattato l’aspetto dell’ansia materna (o più estesamente genitoriale) da alimentazione del bambino, ovvero di quella delicata premura di noi mamme che ci induce a preoccuparci – anche più del dovuto – quando il bimbo non mangia. Gli autosvezzanti pensano di cancellarla assumendo come parametro unico l’istinto del bimbo a gestire il cibo. Diversamente le mamme che aderiscono al protocollotradizionale di svezzamento sarebbero negativamente caricate dall’ansia di imboccare il bimbo in ogni modo sino a raschiare il fondo del piattino. Attenzione, la questione della premura materna o paterna va ben oltre le scelte alimentari, fonda in una normalissima propensione verso il benessere del figlio. Tutti i pediatri autosvezzanti e non consigliano di favorire il rapporto con il cibo e di non imporlo, insistere e forzare un bimbo non è mai positivo, è un atteggiamento che va sempre evitato, indipendentemente dal tipo di pappa che si è scelta. E’ buona norma stimolare e favorire l’autonomo rapporto del bimbo con i suoi alimenti facendo in modo che sin da piccolo mangi da solo, faccia amicizia con il cucchiaino, il bicchiere ed il piattino. Questa cultura della autonoma gestione del pasto aiuta il bambino ad entrare in empatia con il cibo, a comprenderne la funzione ed a scoprirne il piacere. Pure questo è un aspetto della educazione alimentare dei figli che nulla ha a che vedere con cosa il bimbo mangi, inerendo piuttosto al “come” mangi.
Quali studi stanno alla base dell’autosvezzamento?
La prima letteratura medica è data 1934, pubblicata sul New England Journal of Medicine da Clara Davis; lo studio aveva ad oggetto il comportamento alimentare di bambini lasciati liberi di mangiare secondo la propria volontà, i piccoli determinavano da soli di cosa cibarsi scegliendo tra la varietà dei alimenti sani loro offerti.
Per più mesi i bambini mangiarono senza alcun condizionamento da parte degli adulti.
Concluso l’esperimento la crescita quantitativa e qualitativa dei pupi risultò nei limiti della norma.
I bimbi, nonostante l’irregolarità nella quantità e qualità dei pasti, malgrado l’imprecisione dei loro gusti erano comunque cresciuti. Sulla scorta di ciò l’Autrice fondava l’esistenza di un meccanismo efficace di autoregolazione. In pratica i piccoli sarebbero da soli ben capaci di rispondere ai loro bisogni, assumendo il cibo che gli è necessario.
Quando le scelte alimentari investono neonati e bambini la parola chiave è “informazione”, leggete e documentatevi, costruite una vostra opinione di mamme sull’argomento e tenete il pediatra informato delle vostre scelte. Qualunque alimento offriate a vostro figlio non dimenticate di mettere nel piattino la salute, allontanate dalle vostre tavole abitudini alimentare scorrette. Buon appetito a tutti!