Nei primi giorni di marzo fu diffusa la notizia inerente il ritrovamento di tracce di “cesio 137”, un isotopo radioattivo, nel diaframma e nella lingua di ben 27 esemplari di cinghiale abbattuti tra il 2012 e il 2013 in Valsesia, valle alpina situata nella provincia di Vercelli.
Gli animali erano stati sottoposti a controlli per un indagine inerente la trichinellosi, una malattia parassitaria che interessa in particolar modo i suini e i cinghiali per l’appunto.
I test eseguiti hanno dimostrato che il livello di Cesio 137 era di 10 volte superiore ai limiti consentiti.
Perché a distanza di quasi due mesi se ne parla ancora?
È di pochi giorni fa la notizia ANSA della presenza di cinghiali radioattivi anche in Val d’Ossola, per l’esattezza altri 10 esemplari contaminati scoperti dall’Istituto zooprofilattico di Torino in seguito ad ulteriori analisi.
Esami più approfonditi sono ancora in corso, anche per spiegare la motivazione di una così elevata contaminazione che, a quanto sembra, risulta più estesa del previsto. La più plausibile al momento, e vi rammentiamo che parliamo al momento solo di ipotesi, è stata indicata come la conseguenza della tragedia di Chernobyl che, nonostante siano trascorsi 27 anni, risulta essere ancora molto “attuale”.
Ecco le dichiarazioni rilasciate da Giampiero Godio di Legambiente Piemonte nei primi giorni di aprile al portale di informazione adnkronos.com:
“Spostandosi sull’Italia, la nube radioattiva di Cernobyl ha interessato, in quei giorni, i territori in cui piove di più, cioè la montagna più che la pianura. La pioggia cade a chiazze e, quindi, ci sono aree contaminate distribuite a macchia di leopardo sull’arco alpino, mentre in pianura è piovuto poco, come avviene sempre. Quindi è vero che la contaminazione media dei cinghiali, o dei funghi e dei vegetali, è bassa se si considera l’intero Piemonte o l’Italia, ma si parla della media; se si potesse invece analizzare la contaminazione in quelle aree interessate dalla pioggia nei giorni subito dopo Cernobyl, allora lì si troverebbero valori più elevati, come ha dimostrato l’Arpa rilevando la contaminazione al suolo, riassunta in una cartina che mostra chiazze rosse sull’arco alpino piemontese e blu in pianura….. Finora non abbiamo dati specifici sui cinghiali che soggiornano sull’arco alpino e i dati medi non sono significativi. La proposta di Legambiente è di analizzare dettagliatamente la contaminazione negli animali provenienti da singole sottozone”.
Non resta che attendere ulteriori riscontri!