Lo scorso ottobre a Padova un bambino di 11 anni venne condotto coattivamente in una struttura protetta; la polizia e gli assistenti sociali insieme al padre del bambino diedero esecuzione ad una sentenza che prevedeva la deduzione del minore in un ambiente protetto ovvero in una casa famiglia, naturalmente con conseguente allontanamento dalla madre.
La vicenda scosse l’opinione pubblica per la drammaticità della sottrazione violenta del minore: il bambino fu prelevato dal suo banco nell’aula scolastica e fu letteralmente “trascinato” mentre urlava implorando un trattamento umano.
La zia, che si era normalmente recata a scuola per prelevare il nipote, riprese ogni istante della cattura col telefonino e lanciò le immagini attraverso i media come una disperata richiesta di attenzione.
- Il bambino doveva essere allontanato dalla madre per una disposizione giudiziale discussa, la sentenza era infatti fondata su una sindrome non pacificamente riconosciuta né riconoscibile: la Pas.
Dopo 5 mesi di battaglie, dopo 5 mesi di permanenza del minore presso una casa famiglia prima e presso il padre poi ma sempre lontano dalla mamma, dopo 5 mesi di denuncie, la madre di quel bambino “violato” oggi ottiene il riconoscimento del suo diritto di crescere il figlio presso la loro casa, la casa che è sempre stata la dimora del bambino, il luogo dei suoi affetti, il suo nido. La Cassazione ha accolto il ricorso della madre e ha disposto che il bimbo torni da lei.
- La Suprema Corte, in modo particolare ha disconosciuto la Pas.
Nell’istituzione familiare, tradizionalmente intesa, i genitori sono le guide e le colonne della casa. E la casa per definizione è il luogo in cui vengono educati, curati e cresciuti i bambini.
I genitori sono o sarebbero le colonne della famiglia? E la casa è o dovrebbe essere il luogo degli affetti?
Troppo spesso i principi basilari del vivere familiare vengono smarriti, troppo spesso si tradiscono quelli che dovrebbero essere gli ideali ispiratori della vita civile e della società:
a partire dalle cellule sociali elementari, cioè dalle famiglie, lo Stato dovrebbe orientare la sua crescita sulla promozione del più equilibrato e sano sviluppo dei bambini. Infatti se si accetta l’assunto che i bambini sono il futuro non si può negare che è indispensabile tutelarne la crescita e garantirne uno sviluppo quanto più possibile armonico e sereno.
La vita moderna, che aspira costantemente al benessere economico e al possesso di beni materiali, assai di frequente sacrifica la spensieratezza dei bambini: i bimbi coniugano il verbo “voglio” sin da piccolissimi e lo associano da subito ad interessi materiali per cui dicono più spesso “voglio quel giocattolo” e meno spesso, al contrario, sognano “vorrei diventare astronauta … scienziato … inventore”.
I genitori, per parte loro, vivono e lavorano aderendo a dinamiche produttive e consumistiche per cui si riduce il tempo disponibile per correre nei parchi insieme ai bambini, per andare in bicicletta o per imparare a pattinare.
Lo stress del lavoro, la materialità estrema del vivere, la poca propensione al sacrificio e lo scarso tempo dedicato al dialogo aprono sovente incolmabili falle anche negli affetti familiari. E così nella società contemporanea il fenomeno delle separazioni è divenuto comune. Rispetto ad esso non di rado si sminuisce l’effetto devastante che sul bambino può avere la disgregazione dell’unità familiare.
I bimbi facilmente divengono vittime delle liti coniugali e durante i processi di separazione (giudiziari e non) non è inusuale che i figli vengano contesi, usati e derubati della loro tranquillità.
In materia di affidamento della prole, il principio che anima il nostro ordinamento giudiziario è teoricamente cristallino: le disposizioni giudiziali inerenti ai figli durante ogni procedimento di separazione dei coniugi vanno prese tenendo in considerazione prima d’ogni altra cosa l’interesse supremo del minore. L’ordinamento quindi innalza l’interesse del figlio e lo qualifica come supremo, superiore a qualsivoglia altro coinvolgimento di parte.
L’interesse del figlio dovrebbe tradursi nel diritto a crescere serenamente, senza condizionamenti e mantenendo saldi e stimolanti rapporti con entrambi i genitori.
Di fatto però questo diritto dei bambini, teoricamente proclamato come principale e inviolabile, si scontra con i sentimenti umani, con la rabbia, col dolore e con la solitudine.
- La legge è sempre capace di tiutelare i minori?
L’immagine del bambino di Padova, che ad ottobre fu “coattivamente” sottratto alla mamma e praticamente “violentemente arrestato” dopo l’orario scolastico, ha squarciato il cuore degli italiani e aperto un dibattito che non deve fermarsi:
oggetto della discussione deve tornare ad essere l’interesse del minore e la sua fattiva tutela.
Nelle aule giudiziarie dove la madre ed il padre del bimbo di Padova hanno dibattuto la loro vicenda è echeggiata una parola “disconosciuta” dalla medicina forense italiana: Pas, sindrome di alienazione parentale.
Il bambino brutalmente trascinato nel video choc che fece il giro dei media, fu sottratto alla mamma e alla sua casa perché la genitrice era accusata di condizionare negativamente il figlio imponendogli, con vessazioni psicologiche, l’allontanamento affettivo dal padre.
In molti hanno esemplificato massimamente la Pas dicendo che questa malattia, descritta nella letteratura americana più che in quella nostrana, riconoscerebbe la possibilità che sull’individuo malato sia stato esercitato un cosiddetto “lavaggio del cervello”.
Il nodo della questione è quasi intuitivo: come si fa a dimostrare scientificamente che ciò sia accaduto e come si identifica la Pas, che sintomi genera, che conseguenze produce? Senza linee guida ogni supposta patologia psicologica può divenire un’arma nelle mani di chi rivendica questo o quel diritto. Ma soprattutto in tutto c’è da interrogarsi sul valore della tutela del minore: il supremo interesse del figlio fino a che punto è stato calpestato e sacrificato?