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Maltrattamenti in famiglia: minore e violenza assistita

di Dott.ssa Federica Federico

03 Giugno 2010

La “violenza familiare” ha molti volti; tutti tendono, istintivamente, a legare la violenza all’atto fisico delle percosse.
Va, invece, considerato che le vessazioni familiari spesso assumono forme diverse dai maltrattamenti corporali. Ed in questo senso è violenza anche la reiterata vessazione psicologica, la mortificazione, la calunnia, la minaccia, l’atteggiamento persecutorio; queste forme subdole di violenza non passano attraverso l’aggressione fisica ma sono ugualmente dannose perché distruggendo l’animo della vittima ne limitano l’autonomia. Chi le subisce mortifica se stesso, si chiude alla vita e rifiuta di aprirsi al mondo, diviene schiavo del suo carnefice dal quale prende a dipendere psicologicamente.

In pratica questo è quello che accade a moltissime donne e mamme soggiogate dai propri compagni, uomini che pretendono di decidere e gestire la vita delle loro “amate”.

Per lungo tempo queste violenze non sono state giustamente considerate. Gli studi psicologici ne hanno rilevato la gravità.
Grazie a questa rinnovata concezione della violenza, oggi si può considerare anche la così detta violenza assistita intrafamiliare a danno dei minori.

Che cos’è la violenza assistita intrafamiliare e perché danneggia il miore?

Quando in una famiglia si consumano violenze il minore ne è sempre vittima, anche se non le subisce materialmente sulla sua pelle.
Infatti, il piccolo, che suo malgrado viva in un ambiente violento, spesso è “testimone oculare” di percosse, minacce ed insulti. Inoltre è costantemente costretto a subire gli effetti delle violenze in termini di tensione della vita familiare. Infatti, è innegabile che la violenza determini nella famiglia che la subisce un clima di paura ed angoscia.

Quindi la violenza assistita intrafamiliare si realizza in tutte quelle manifestazioni di violenza, fisica e morale, a cui il bambino è costretto ad assistere nel suo ambito familiare.
Allo stesso modo il minore è considerato vittima delle violenze che, pur non avvenendo sotto i suoi occhi, lo coinvolgono indirettamente costringendolo a subire un “ambiente familiare malato”.
Tutto ciò nuoce moltissimo ai minori perché pregiudica la loro serena crescita ed il loro corretto sviluppo relazionale.
Sotto il profilo normativo questa specie di violenza non è stata ancora cristallizzata in una autonoma fattispecie delittuosa. Ma grazie al rilievo dato dagli studi psicologici viene comunque considerata, sebbene assimilata ai più comuni maltrattamenti familiari (articolo 572 codice penale).

L’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 2006, ha stimato che ogni anno nel mondo i bambini che testimoniano episodi di violenza domestica sono tra i 133 ed i 275 milioni. Tantissimi!
La facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bergamo ha condotto uno studio sui fattori di rischio della violenza domestica. Gli studenti hanno indagato sulle cause che scatenano i maltrattamenti. Chiaro è che le vittime, nella quasi totalità dei casi, sono le donne. E gli universitari hanno intervistato proprio le donne-mamme vittime dei compagni violenti; lo hanno fatto prendendo a campione un certo numero di mamme ospiti in strutture protette. Ne è emerso un dato sconvolgente: uno dei massimi fattori di rischio è la nascita di un figlio. In pratica, alla nascita di un bimbo e di fronte al disequilibrio che ciò comporta normalmente nella vita di coppia, certi uomini, già potenzialmente violenti, rispondono alla “crisi” scatenando il loro lato peggiore.

La tutela della famiglia come cellula elementare della società e “cuore sacro” dello sviluppo del minore deve essere massimizzata. In questo senso dare rilievo ad ogni forma di violenza e proteggere i piccoli anche dalle vessazioni indirette è importantissimo.



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