L’altro giorno mio figlio mi ha raccontato che la professoressa di religione in classe ha fatto una lezione sui bambini sfruttati. Su come in paesi come il Pakistan i bambini molto piccoli siano costretti a lavorare nelle fabbriche, anche occidentali, in condizioni che non si addicono neanche agli adulti. Lui era quasi incredulo. Si perché forse i nostri figli sono lontanissimi da queste realtà.
Ma queste realtà non solo sono “reali”, ma in certe parti del mondo anche numerose.
L’ultimo servizio lo ha fatto il New York Times, lo hanno chiamato il viaggio dell’orrore. Nello stato del Meghalaya, in India ci sono delle miniere di carbone, a Khiliehriat. Siamo a nord del paese, appena sotto il Bhutan e la Cina. Lì il sottosuolo è ricco di minerali, e la popolazione non ha avuto scelta.
Molti sono cresciuti nelle miniere, alcuni hanno cominciato a lavorarci da piccolissimi.
Nel 2010 una ONG ha valutato che in quelle miniere almeno 200 bambini erano assoldati per il lavoro di estrazione. Bambini di neanche 5 anni, che per un paio di dollari al giorno e con indosso una maglietta e dei sandali ricavati dai copertoni delle auto (altro che elmetto, altro che legge sulla sicurezza dei posti di lavoro) si infilano nelle viscere della terra, e sperano di fare ritorno a casa. Ma forse non hanno neanche questa coscienza.
Se si considera poi che due terzi della popolazione indiana vive con 15 dollari a settimana, loro che ne guadagnano un po’ di più si sentono “baciati dalla fortuna”.
74 dollari a settimana dichiara Suresh Thapa, ragazzo 17enne intervistato dal New york Times. Lavora in una di quelle miniere da quando era bambino.
“Come possiamo non lavorare? Dobbiamo mangiare”.
Lo dirò a mio figlio quando mi chiederà l’ultimo personaggio degli Skylanders (19.90 euro per la cronaca, due settimane di stipendio di Suresh), che ne parli con la professoressa di religione.