I bambini nei primi mesi di vita, alcuni per i primi anni, vengono abituati a condividere con la mamma ogni momento della giornata. Più lungo è il tempo trascorso insieme in modo “esclusivo” maggiori sono le difficoltà che i piccoli incontreranno nel distacco dai genitori. E la separazione è naturalmente e normalmente visibile e dolorosa quando arriva il momento della scuola. Il nido o l'asilo pretendono dal piccolo che si emancipi dai genitori; la scuola rappresenta lo suo spazio di “vita autonoma” del bambino.
Per il bimbo di Stefania, amica di Vita da Mamma, la separazione dai genitori sembra costituire un vero problema. Abbiamo sottoposto il caso del piccolo G. alla nostra pedagogista, la Dott.ssa Morè R ita.
Qui di seguito il racconto di mamma Stefania:
<< Salve. Ho due bimbi. G. 5 anni e mezzo, S. 3 anni e mezzo. G. soffre particolarmente il distacco da me e mio marito. S. non mostra invece nessuna difficoltà a staccarsi da noi, e ci fa sempre una grande festa quando ci rincontriamo.
Quando abbiamo inserito G. all'asilo nido, a 21 mesi, lo lasciavo in lacrime, la maestra me lo strappava dalle braccia, ma poi io stavo dietro la porta e sentivo che si calmava e quando lo andavo a riprendere, aveva mangiato, giocato, lo trovavo contento e quasi non se ne voleva venire. Però la mattina ha fatto sempre così, anche alla materna, la maestra lo veniva a prendere in braccio, lui piangeva, dopo dieci minuti si calmava partecipava alla vita scolastica, ha imparato a leggere e scrivere e usciva contento e perfettamente inserito con il gruppo dei suoi pari. Soffriva del fatto che io andassi a prenderlo un'ora dopo l'uscita degli altri bimbi, anche se restavano in 5 o 6 bimbi ad aspettare,compreso il fratellino.
Quest'anno lo abbiamo iscritto in prima elementare, essendo rientrato con la riforma. Avevo tanti dubbi su questo inserimento, e infatti G. fa la stessa cosa. Dopo un mese di scuola, la maestra lo deve prendere un pò di forza davanti la porta dell a classe, e lui mi continua a ripetere, stai qua, dietro la porta, non vuole che vada a lavorare. La maestra riferisce che dopo dieci minuti si calma, gioca con i suoi compagni, partecipa benissimo alla lezione, mostrandosi interessato e impegnandosi per fare bene i compiti.
All'uscita io sono sempre in prima fila, esce insieme a tutti gli altri, ma mi rimprovera di essere andata a lavoro ( ho un negozio a 500 metri dalla scuola). Arriviamo a casa e spontaneamente apre lo zaino e fa i compiti da solo, chiedendo il mio aiuto solo quando incontra qualche difficoltà.
Due pomeriggi a settimana lo abbiamo iscritto a JuJizzo, non so se si scrive così, un'arte marziale per l'autodifesa. Gli piace dallo scorso anno e quest'anno va volentieri, solo che anche lì non mi posso allontanare, rimango per tutta la lezione.
Scusate per il lungo messaggio, ma ho proprio bisogno di aiuto, mi sento confusa.
Sono un'assistente sociale, ho lavorato in un centro di riabilitazione per grandi e b ambini, e mi chiedo se forse è il caso di incontrare una psico-pedagogista che possa aiutare me e mio marito, e di riflesso G., a far superare questo distacco da noi. E' una giusta riflessione?
Il suo atteggiamento rientra in un quadro di normalità o c'è qualcosa di strano?
Io avverto che questa situazione “mi soffoca”, a volte il suo comportamento la mattina mi toglie la calma e mi mette in uno stato di agitazione, che penso scaturisca dal mio senso di colpa, senti di sbagliare in qualcosa che per mio figlio è importante ed io non colgo o non ho colto!!!!
Scusate ancora e grazie anticipate per la risposta!!!!
Stefania >>
Ecco la risposta della nostra pedagogista:
Da quanto riportato si evince una differenza tra i 2 bimbi di 2 anni e G. ha iniziato l’esperienza all’asilo nido a 21 mesi quando tu, presumo, eri prossima al parto di S.
Questa circostanza è significativa. Certo va tenuto presente che ogni bambino è un’individualità a sé e che quindi le sue reazioni all’ingresso all’asilo nido richiamano di volta in volta fattori molto diversi che trovano spiegazione nell’ambiente familiare e nello sviluppo di ciascuno ma che ci riportano sempre alla situazione che precedeva tale esperienza. Non dai informazioni sul periodo di attesa di S., non dici come hai preparato a questo evento G. che, sicuramente, ha colto a modo suo la novità della situazione. Il bandolo della matassa sta proprio nell’averlo avviato al nido quando era prossimo l’arrivo di Samuele. Negli ultimi mesi di gravidanza é proprio la crescita del pancione della mamma che dà al bambino il segnale più tangibile di un nuovo arrivo, segnale che suffraga le tante spiegazioni degli adulti susseguitesi nei mesi. G. l’ha colto, ma mentre se ne rendeva conto si sentiva “allontanato” e portato all’asilo nido. Insomma gli è mancato quel coinvolgimento nell’evento, quel viverlo con te che gli avrebbe comunicato complicità e sicurezza. E’ come se sentisse di essere stato in parte escluso da quel che stava accadendo. Il suo comportamento al nido come alla materna come alla scuola elementare riflette tutto ciò. G. non rifiuta la scuola, si comporta bene una volta che vi è entrato e sta bene con la maestra e i compagni, partecipa e apprende, ma lo fa in vista del ritorno a casa. E’ la casa il suo luogo di riferimento. Vuole che tu stia dietro la porta anche quando è al corso di autodifesa che poi gli piace tanto perché non vuole che accadono cose in cui lui non è coinvolto e che non può controllare. E’ già accaduto una volta e non vuole che si ripeta. Vuole rimanere al centro dei tuoi interessi e delle tue preoccupazioni. Lo fa alla sua maniera tentando di fermare la tua attività e di fissarla su di lui e sulle sue esigenze. Ti rimprovera per il lavoro perché questo ti tiene lontana dal suo controllo e lo espone a sorprese.
Come vedi non c’è proprio nulla di strano in tutto questo comportamento. G. è solo un bambino che va compreso nel suo bisogno di partecipazione e coinvolgimento negli eventi familiari. Va rassicurato nel suo ruolo all’interno della famiglia e soprattutto rispetto all’evento che gli ha provocato tanta tensione. E’ del tutto normale che in una mamma, di fronte a certi comportamenti del proprio bambino, scattino i sensi di colpa e addirittura il pensiero che vi sia qualcosa di strano, ma ricorda che essere genitori è il mestiere più difficile e che farsi assalire da angosce e dubbi spaventosi non aiuta a risolvere il problema. Occorre mantenere la calma. Ritengo che ricorrere allo psicopedagogista forse ti toglierebbe per un po’ quel senso di soffocamento che avverti e non nascondo che potrebbe aiutare anche G. ma non migliorerebbe assolutamente il tuo rapporto con lui.
Ora devi aiutare G. a crescere e ciò comporta fargli comprendere che anche quando si è lontani dalla presenza fisica delle persone care non cambia nulla negli affetti, nel coinvolgimento, nella partecipazione. Come farlo? Personalmente consiglio sempre di ricorrere alla drammatizzazione. Spesso i bambini non sanno liberarsi delle proprie paure e delle proprie ansie e compito degli adulti è aiutarli. Attraverso la drammatizzazione è più facile per il bambino entrare in certi ruoli e reagire scaricando tensioni accumulate anche da tempo. Invitalo, cogliendo qualche momento propizio di distensione e affettuosità nei tuoi confronti, in un gioco di ruoli. Fai in modo da interpretare tu la parte del bambino costretto a stare per qualche circostanza lontano da casa. E dai a G. la parte del genitore, poi limitati a far sentire al genitore G. il tuo bisogno di rimanergli vicino. Il resto verrà da sé e a G. non potrà che venirne vantaggio. Poi, se posso darti un consiglio, cerca ogni tanto di ritagliarti uno spazio anche piccolissimo per giocare con G., stare con lui in quella complicità che solo una mamma è capace di creare con il proprio bambino.