Allora è deciso, posso assistere al parto di Rosandra, nonostante sia un parto cesareo che è a tutti gli effetti un’operazione chirurgica.
Tutto concordato, ma a un certo punto veniamo separati. Lei è condotta in sala operatoria per la preparazione all’intervento chirurgico, mentre io devo andare dal direttore della clinica e chiedergli l’autorizzazione scritta per poter assistere all’operazione. In quel preciso momento, inesorabilmente, inizio a sentire la tensione capillare su tutti i miei tessuti che pulsa forte con la frequenza cardiaca e senza sosta.
Mancheranno ancora 10 minuti, forse 5, oppure 15 o mezz’ora… non lo so, ma io ancora non sono lì, corro al piano superiore a cercare il direttore sanitario, trovo il suo studio, e dopo una breve attesa, finalmente riesco a parlargli e ad ottenere il pezzo di carta che mi permetterà di accedere alla sala parto. Ritorno subito al piano inferiore e raggiungo il corridoio per l’accesso alla sala operatoria, ma non ho idea di cosa fare, con chi parlare, dove poter andare e dove no. C’è un’aria particolarmente inquietante. Attraverso, per errore, una sala travaglio che non era sorvegliata, in cui non sarei dovuto entrare. Finalmente riesco a parlare con un infermiere che ritira la mia autorizzazione e che mi chiede di attendere ancora perché mi devono fornire camice, cuffia, ganti e copri scarpe prima di poter entrare in sala operatoria.
Ma nel frattempo cosa sta accadendo? Rosandra dov’è? E’ già iniziato il parto? Potrò veramente assistere o alla fine saranno cambiate le cose? L’attesa, anche se breve, mi sembra interminabile, cerco di controllare le pulsazioni sotto la pelle, ma ogni tentativo razionale è inutile perché sono tutto un fremito, mi giro e mi rigiro, vado avanti e indietro e guardo continuamente intorno a me, fissando chiunque passi per quel corridoio, ammiccando per capire se può darmi più informazioni. Sudo in silenzio. Mi sposto di continuo dalla mia posizione.
Non aspetto oltre e trovo da solo la stanza in cui si trova l’occorrente per coprirmi, c’è un’inserviente molto giovane che di fronte alla mia richiesta irruente non indugia un attimo e mi consegna camicia, cuffia, guanti e copriscarpe. Indosso il tutto. C’è un’altra stanza adiacente al corridoio in cui due medici o infermieri parlano tra loro come fanno due normali colleghi di lavoro durante una pausa. E’ la stanza più vicina al limite che non ho ancora osato varcare, dal quale si accede alla sala operatoria in cui si trovano Rosandra e il nostro piccolo ancora immerso nel liquido amniotico all’interno del grembo della sua mamma.
Indugio ancora qualche minuto, ma poi ignaro di quel che sta accadendo, mi spingo oltre nel corridoio e mi affaccio nei pressi della sala operatoria. Intravedo medici, infermieri, ma subito vengo avvicinato dalla capo-sala, che mi invita ad allontanarmi, perché non posso entrare. Le spiego che sono autorizzato a farlo, ma lei mi risponde che non è ancora possibile entrare perché si stanno ancora preparando per l’operazione.
Torno alla mia attesa nella stanza a fianco, ma la ragione non mi aiuta proprio: c’è qualcosa più forte di me che mi spinge avanti e indietro e mi fa dubitare continuamente che io possa realmente entrare e assistere in diretta a quel che sta per succedere, la venuta al mondo di mio figlio.
Continuo a sudare freddo, ma mi rassegno e mi ripeto continuamente in mente che è solo questione di tempo… calma, calma, calma… ma i pensieri e le sensazioni corrono a mille e continuano a pulsare e rimbombare forte in tutto il mio corpo.
Finalmente qualcuno (non ricordo nemmeno più chi, forse la caposala) mi dice che è tutto pronto e che posso entrare. Corro nella sala, finto disinvolto.
E’ vero: tutto è pronto e i medici stanno per iniziare a praticare il parto cesareo.
Rosandra è stesa sul lettino al centro della sala.
Da questo momento in poi, ogni tentativo di descrivere le cose in modo razionale non ha quasi più speranza.
Siamo tutti lì in quella stanza. Noi due, i due ginecologi che devono operare Rosandra, l’anestesista, la caposala e qualche altra infermiera e, alla stessa stregua degli altri, c’è anche lui, il nostro piccolino, che ancora non ha un nome, che ha un mondo tutto suo che finora abbiamo cercato di perlustrare ma che di fatto non conosceremo mai. E da quel mondo, incredibilmente e forse anche un po’ prepotentemente, ma certamente a fin di bene, stiamo per tirarlo fuori.
Iniziano in pochi attimi, Rosandra è sotto l’effetto dell’anestesia locale, ha il ventre nascosto da un lenzuolo al di sopra del quale io riesco a intravedere le mani dei due ginecologi–chirurghi–macellai che ormai stanno intervenendo per tagliare. Rosandra avverte subito con molta preoccupazione la sensazione del taglio, o almeno quello che gli arriva attraverso l’anestesia peridurale. Ci comunica che sente un forte bruciore e inizia a lamentarsi. Non è chiaro se si tratti di dolore vero e proprio, ma dopo meno di un minuto l’anestesista le somministra un sedativo perché lei è inevitabilmente provata da queste sensazioni. Io ho la possibilità di osservare tutte le varie operazioni di taglio con bisturi e altri arnesi che i due ginecologi continuano a effettuare senza sosta, ma l’agitazione di Rosandra cresce ad ogni nuova manipolazione sulla sua pancia. Tutti i medici cercano di tranquillizzarci sostenendo che il battito cardiaco (che è per loro l’indicatore clinico del dolore) è ben monitorato e non da nessun segnale per cui preoccuparsi. Sostengono che l’anestesia non elimina le sensazioni tattili e che il livello di sopportazione e di accettazione di queste sensazioni è soggettivo. Raccontato così, a freddo, sembra quasi tutto molto semplice, ma per noi che al momento eravamo assolutamente impreparati a questa eventualità, non è stata affatto una cosa banale da digerire.
Inizialmente mi affido alle parole dei medici e faccio di tutto per tranquillizzare Rosandra e per aiutarla a distrarsi e a trovare la serenità persa. Di fronte ai miei occhi succede di tutto e non è il caso che io ne descriva i dettagli. Razionalmente accetto il fatto che lei non sente il reale effetto di quello che le stanno facendo, ma se solo provo ad associare le cose che osservo con i suoi lamenti di Rosandra, mi vengono i brividi.
Comunque ciò che importa più di tutto, e che ci fa andare avanti, è che il nostro cucciolo da un momento all’altro sarà fuori dal pancione in mezzo a noi, e questo mi sembra ancora più incredibile. Nonostante la preoccupazione per lo stato emotivo di Rosandra, ammetto che il mio cuore va ancora a vento come prima e più di prima, per la nascita di mio figlio che sta per avvenire. Sono eccitato perché sono lì presente e non vedo l’ora di vederlo e di sapere che sta bene e che va a finire tutto bene per lui e per Rosandra. Ho abbastanza fiducia nei due ginecologi che stanno operando, ma sono scettico per natura verso tutto ciò che non è evidente o che comunque non conosco direttamente, così come la medicina chirurgica. Purtroppo l’agitazione di Rosandra non cala, anzi sotto l’effetto del sedativo prende una forma strana. Lei sembra mezza addormentata, ma allo stesso tempo si dimena quando giungono determinate pressioni sulla pancia ed inizia ad avere pretese assurde, tipo muovere le gambe o alzarsi… L’operazione va avanti per non so quanti minuti, 10, 12 o forse 15, siamo tutti tesi verso quell’unico obbiettivo comune che prevale su tutto il resto, ma il fatto che Rosandra provi dolore, o comunque una forte sofferenza, inevitabilmente ci influenza un po’ tutti. I ginecologi, a tratti, temporeggiano su quelle manovre che provocano più “dolore”, in altri momenti dichiarano che è tutto normale e sembrano quasi pensare che l’agitazione di Rosandra sia eccessiva. L’anestesista, un medico molto giovane e con il mio stesso nome, Maurizio, appare molto dispiaciuto per come vanno le cose, quasi come se si sentisse responsabile. Io non so praticamente nulla di anestesia, e non conosco affatto quali sono i fattori che influiscono sull’efficacia dell’anestesia. Temo che un errato dosaggio, o qualsiasi altra imprecisione commessa durante la fase pre-operatoria possa aver causato questo stato delle cose. Stento a credere che una reazione soggettiva così eccessiva non si poteva evitare, anche se solo con un’adeguata preparazione psicologica della paziente. Purtroppo non riesco a trattenere del tutto i miei pensieri, mischiandoli alle parole che non avrei dovuto proprio proferire, data la mia posizione da “intruso”. Tutti i medici si mettono subito sulla difensiva, direi quasi per deformazione professionale. Il più giovane dei due ginecologi ha un cedimento emotivo maggiore e tira fuori una frase del tipo: “figuriamoci poi come volevano affrontare un parto naturale!!” Anche io me ne esco con qualche frase del tipo: “ma forse un dosaggio diverso dell’anestesia poteva evitare queste cattive sensazioni”.
Comunque per fortuna l’attenzione di tutti è su qualcos’altro molto più importante, che ci obbliga a disciogliere ogni piccola tensione, quindi con la dovuta calma andiamo avanti verso il bene supremo che sta per compiersi, la vita.
I due ginecologi procedono con fermezza e con tempismo nelle operazioni di taglio e di apertura. Sono due ginecologi che operano insieme da tanti anni, e quindi hanno sicuramente une competenza e una precisione molto elevata. Insieme lavorano come un orologio svizzero, apparentemente senza possibilità di errore, ma son sempre delle persone.
Fino a quando non vedo mio figlio, continuo a trepidare, ma qualcosa mi dice che andrà tutto bene. La mia natura ottimista mi dà la forza per guardare avanti in positivo.
Rosandra continua a delirare e a lamentarsi quando le spinte sono più forti, sembra un tempo interminabile, ma per fortuna è solo un intervallo finito, e per fortuna tutto procede bene. Insomma ci siamo quasi. Tutte le operazioni necessarie per accedere al feto sono state effettuate, i vari strati sono stati aperti, anche l’utero, infine la placenta, e così a un certo punto fuoriesce il liquido amniotico. E’ in quel momento che deve essere prelevata la testa del bambino, un’operazione che è assegnata sistematicamente al più giovane dei due ginecologi. Non è proprio banale, il tutto si svolge in un attimo che però ti sembra interminabile, il braccio del dottore spinge, Rosandra grida forte, la mano entra sempre di più, finalmente vedo la testa, il collo minuscolo preso tra le dita di quella mano, una torsione delicata ma risoluta, e così improvvisamente… vedo mio figlio in viso.
E’ una rosa piena di capelli scuri con l’espressione di un cucciolo deciso e preciso. Ha gli occhi della mamma. Almeno questo è quello che sento io. E’ in uno stato di confusione terribile, emette un vagito di tono basso, ma ben distinto, che stride bene tra le mie emozioni a palla, il delirio di Rosandra, l’apprensione forte dei medici e i macchinari complicati intorno a noi. Il ginecologo completa l’operazione di estrazione, l’altro ginecologo taglia il cordone, ma io ho la vista come offuscata e non me ne rendo conto, riesco a mala pena a scattare qualche foto senza flash con la mia digitale compatta tenuta fino a quel momento ben nascosta, cerco di esprimere a Rosandra la bellezza di quello che sto osservando, oramai anche io deliro. Osservo le parti del suo corpo soggette alla presa sotto guanto della mano del dottore. I suoi tessuti morbidissimi ed elastici, tutte le parti del corpo intatte e precise, le manine e i piedini teneri e minuti, l’addome, le spalle, il torace, il culetto, le gambe a salsicciotto, la testina delicata. Alcune brevi operazioni di routine e finalmente il bimbo è pronto per essere portato in pediatria, ma prima, come avevamo richiesto, lo mostrano alla mamma che per un attimo ha un lampo improvviso di gioia e di pace, e che sembra lontana da tutto e da tutti in quello sguardo sovrumano. L’istinto la porta a prenderlo con le sue mani, ma il ginecologo più giovane repentinamente glielo sottrae sostenendo che può essere un gesto pericoloso perché può portare infezioni.
Lo portano via, mi chiedono come si chiama, grido fuori di me il suo nome: Santiago!!
Non racconterò il seguito perché potrebbe risultare anche sgradevole e poi perché non ha più nessuna rilevanza rispetto all’accaduto. E’ durato ancora vari minuti, 5 o 10. Rosandra ha continuato a penare, ma oramai il peggio è passato.
La nostra vita è cambiata. La vita è cambiata. Una nuova vita, ricchezza pura e bellezza indomata. Pace a tutti gli uomini di buona volontà!
Scritto da Papà Maurizio
Questo è il racconto di una nascita vista dagli occhi di un papà felice e partecipe che ha accolto il primo vagito del figlio in sala parto. Papà Maurizio ha deciso di rimanere accanto alla compagna Rosandra durante la nascita del loro bambino, nonostante il parto cesareo a cui ha assistito con “forza” !
L’intera redazione di Vita da Mamma ringrazia Maurizio e Rosandra per averci regalato il ricordo della nascita di Santiago.
Il meraviglioso bambino che ammirate ritratto insieme al papà nelle immagini di questo articolo è Santiago e lui, l’orgoglioso padre, è Maurizio …
… a loro ed alla mamma vanno ancora i nostri complimenti ed uno speciale ringraziamento per questa testimonianza d’amore!