Un amore è per sempre?
Eterni erano gli amori da favola con cui ci “istruivano” da bambine:
quelli in cui il principe – naturalmente biondo e con gli occhi azzurri – giungeva su un bianco destriero, salvava la giovane di turno da questa o quella disavventura e con un matrimonio sontuoso suggellava la romantica unione.
Ma il celebre : “E vissero felici e contenti”, quel finale che senza ombra di dubbio calava il sipario su una vita di gioie familiari, sembra essere, oggi giorno, solo una lontana memoria di fiaba.
Lo scorso 21 luglio l’ISTAT ha pubblicato la sua fotografia delle unioni familiari italiane:
nel nostro paese si stima che per ogni 1000 matrimoni 286 coppie concludono la loro unione in una separazioni, 179 in un divorzio. In pratica un terzo degli amori italiani non è per sempre!
Per di più l’istituto del matrimonio è evidentemente in crisi, le coppie giovani scelgono con sempre più frequenza la convivenza. La fragilità economica del Paese e la precarietà lavorativa con cui le nuove generazioni devono misurarsi, determina, poi, un sensibile calo della natalità ed uno spostamento in avanti della prima esperienza genitoriale. Esperienza che spesso per ragioni economiche resta isolata, i figli unici sono in questa Italia figli della precarietà e dell‘impoverimento.
La crisi delle unioni ha, dunque, la sua prima ragione sociale nella difficile contingenza economico – lavorativa vissuta a livello extra nazionale. Ma si radica anche in una mutata percezione della vita, la nostra è l’epoca dell’individualismo, viviamo in una società che promuove e esalta la singolarità, ciascuno oggi ha un personale bagaglio di aspirazione e desideri da realizzare e più difficilmente di un tempo rinuncia, rivede le proprie priorità o modifica i propri interessi a vantaggio della famiglia.
I rapporti uomo donna e gli equilibri tra i sessi all’interno delle unioni sentimentali hanno dovuto misurarsi anche con l’ingresso delle mogli – mamme nel mondo del lavoro.
L’emancipazione della donna dal vecchio steriotipo di angelo del focolare le ha consentito anche di acquisire una più piena coscienza di sé.
Uomini e donne hanno oggi attive vite socio – lavorative e maggiori sono le possibilità di contatto o di spostamento, ciò pure incide sulla mutata condizione familiare degli italiani.
Certamente il lavoro, i contatti sociali, l’affermazione personale pretendono equilibri familiari elastici e non sessisti, ma soprattutto la vita moderna esige collaborazione, dialogo, incontro e fiducia.
Secondo i più recenti studi dell’ Adoc (Associazione Nazionale per la Difesa e l‘Orientamento dei Consumatori) la principale causa di rottura delle unioni matrimoniali sarebbe l’incomunicabilità che si traduce in una sterile abitualità, nella incapacità di condividere un progetto, di rinnovarsi, di ritrovarsi e di ristabilire gli intimi equilibri di coppia.
Stando ai rilievi dell’Adoc la seconda causa di rottura è il più classico tradimento, si classificano in terza posizione le ingerenze familiari.
Nella società della bellezza, dell’apparenza, dell’individualismo ci si lascia di meno a causa del sesso e di più per ragioni di lontananza affettiva ed emotiva. Dunque la prima cura per la famiglia e la coppia dovrebbe essere il dialogo, la verità e l’incontro.
Per ragioni di completezza va detto che la stessa Adoc rivela che la percentuale dei tradimenti come causa di rottura delle unioni cresce dopo gli anta.
Ma se un terzo dei matrimoni finisce in un addio, dove finiscono i cuori infranti?
I coniugi che si sono separati perdono fiducia nei rapporti e nell’amore o ci riprovano ancora una volta?
L’uomo è cuore ed amore, vive di emozioni e passioni e fortunatamente in genere non rinuncia agli affetti. Con quale ricaduta sociale? Ovviamente il risultato è visibile nell’aumentato fenomeno delle famiglie allargate.
Ma se ciò e un bene ed una risorsa per il “cuore degli uomini”, perché è sempre positivo e vitale continuare ad amare, costruire e far crescere strutture affettive stabili e serene, più complesso e problematico è il risvolto socio – economico della questione. Infatti è spesso complesso gestire, seguire e sostenere l’economia di una famiglia allargata. In questo senso l’impoverimento della classe media e l’aggravarsi della condizione delle fasce già a basso reddito certo rappresenta una situazione di alto rischio sociale.