Il senso del possesso è uno di quei processi naturali dell’indole umana, a volte utile, quando non eccessivo ed esasperato, a fargli percepire una certa connotazione e una posizione nel mondo. Questo stimolo deve essere avviato nella prima infanzia e incanalato correttamente negli anni dell’adolescenza in modo da ottenere l’equilibrio tra introiezione del mondo ed altruismo.
Quando il senso di possesso diventa una modalità disordinata, esso viene applicato ad ogni cosa e persona circostante.
È naturale che un bambino di tre/quattro anni dica: “è mio”. Non è normale, invece, che lo dica un adulto.
Spesso assistiamo a scene d’amore nelle quali un partner fa dei regali all’altro e poi, a causa di una lite, ne pretende la restituzione. Fa sospettare l’atteggiamento di dono iniziale, nel quale era nascosta la volontà di usare i regali come esca per appagare il desiderio di ottenere dal partener il più possibile, compresa la sua stessa persona.
Il dramma si può evidenziare quando il rapporto non è rimasto allo stadio iniziale e si è protratto nel tempo, dando luogo alla creazione di una famiglia.
Solitamente, quando uno dei partner si comporta in questo modo, l’altro, se remissivo o razionale, può mitigare e attenuare i toni, mantenendo un certo equilibrio nella coppia e nella famiglia. Dipende anche dalla violenza o incisività del partner possessivo.
Se i rapporti arrivano, comunque, alla rottura, si possono notare episodi, nei quali, i figli non vengono coinvolti solo psicologicamente ma, addirittura, coinvolti nel sistema burocratico, quasi sempre impreparato a gestire affidi ad uno o all’altro genitore, il quale, deve comunque dimostrare di esserne all’altezza oltre che volerlo.
La tragedia viene sfiorata e, a volte, consumata quando tutti e due i genitori sono affetti dal bisogno di protagonismo possessivo.
Se in un primo momento la prole viene contesa, successivamente può essere usata come merce di scambio, non più per ottenerne l’affidamento ma per dimostrare le proprie ragioni.
La possessività, se esasperata, paradossalmente, si riduce al bisogno primitivo del non perdere ciò che si è introiettato, atteggiamento proprio della fase della suzione quando, piuttosto che perdere il contatto fisico con la mamma, si rimane attaccati al capezzolo, trastullandolo in bocca senza più mangiare. In quei casi la mamma stacca il bambino e lo educa pian, pianino a distinguere il bisogno di affetto da quello di mangiare. Il meccanismo mentale di queste persone, turbato nell’intimo, viene esposto in una specie di pericolo di perdita della personalità a causa delle colpe dell’altro.
Dimostrare che l’altro ha la colpa del fallimento, automaticamente stabilisce la propria ragione e, per far ricadere la colpa di tutto sul partner, si usa il figlio, mostrando, anche mediaticamente, come il partner non si cura di lui, come lo tratta male, lo nutre male, lo abbandona a se stesso e via dicendo.
Il benessere del figlio ha perso ogni importanza ed anche l’amore genitoriale si tramuta in egocentrismo atto a dimostrare di sapere amare. Il figlio è stato trasformato da soggetto fondamentale per trasformare in famiglia la coppia, a oggetto disgregante.