La maxi udienza per l’incidente probatorio sulla scatola nera della Costa Concordia si protrarrà probabilmente per tutta la settimana.
Infatti, dopo l’avvio di lunedì, caratterizzato dalla presentazione dei periti della perizia effettuata sulla scatola nera, attraverso foto, filmati e documenti redatti in modo tale da poter rispondere alla 50 domande loro poste dal gip Valeria Montesarchio, l’udienza procederà con l’intervento dei legali delle parti lese e degli indagati, nonché quello della procura.
Il tutto, come già accaduto in questi giorni, si svolgerà presso il Teatro Moderno di Grosseto, meno consono di un tribunale ma sicuramente più capiente di quest’ultimo la massiccia presenza di persone che richiede tale processo.
Presente in aula anche Francesco Schettino, ex comandante della nave da crociera Concordia che dovrà rispondere a diversi capi d’imputazione tra cui abbandono della nave e naufragio.
Schettino aveva già nei giorni scorsi espresso il desiderio di presenziare in aula, “Voglio essere in aula, voglio metterci la faccia” aveva dichiarato, riuscendo così ad ottenere un permesso speciale al fine di poter allontanarsi della sua casa situata a Meta di Sorrento, abitazione presso la quale ha l’obbligo di dimora.
Alcuni dei naufraghi sopravvissuti hanno voluto incontrarlo, stringergli la mano e rivolgergli qualche parola guardandolo negli occhi: a chi si è avvicinato, l’ex comandante ha detto “Non ce la dovete avere con me, perché io, con la mia manovra, ho salvato la vita a voi e a tantissimi passeggeri ….. la verità dovrà essere appurata”.
Dunque Schettino continua a seguire la sua linea difensiva, ossia quella di imputare l’errore della manovra al timoniere indonesiano che quella tragica notte non comprese immediatamente l’ordine impartitogli, bensì effettuò una manovra contraria a quella richiesta:
“La problematica dell’errore compiuto dal timoniere della nave nell’esecuzione degli ordini emanati da Schettino per evitare lo scoglio de Le Scole è tutt’altro che risolta in senso negativo per il Comandante come da taluni affermato – afferma Bruno Leporatti, legale di Schettino – I periti sostengono, infatti, nella loro relazione che tale errore e le dinamiche da esso scaturite hanno <<sicuramente aggravato una situazione già di per sé critica e possono aver concorso al verificarsi della collisione avvenuta subito dopo>>, in tal modo ponendo addirittura il problema del se l’urto si sarebbe in effetti verificato ove la manovra ordinata dal comandante fosse stata correttamente eseguita”.
Inoltre i difensori continuano ad avvalorare le affermazioni del loro cliente riferendo che “Più volte Schettino ha dichiarato che voleva portare la nave là, al Giglio, e la nave si trova là dove diceva. Non funzionavano né la propulsione né i motori ma c’era un’azione del vento. Il comandante ha fatto la manovra che diceva”.
Una manovra però fortemente contestata dalla perizia eseguita su richiesta del gip, che, nonostante le affermazioni degli avvocati difensori, continua a ribadire che fu casuale e non intenzionale.
A testimonianza di ciò, le affermazioni rilasciate dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone che, nel corso dell’udienza, ha riferito quanto constatato dai periti:
“C’erano ampi spazi e tantissima acqua e tempo per accostare e portarsi fuori dal pericolo. La manovra dopo l’urto fu assolutamente fortuita perché la nave era senza controllo”.
Tale deduzione deriva dal fatto che dopo l’urto è stata riscontrata un’avaria alla sala macchine, con consecutivo blocco del timone. Inoltre Cavo Dragone ha precisato:
“Mettere la barra tutta a dritta lascia pensare che il comandante volesse allontanarsi dall’isola e non, come da lui dichiarato, rimanere sottocosta sfruttando l’azione del vento per far andare la nave verso il punto d’incaglio”.