La sensibilità dei bambini piccoli e piccolissimi in molte occasioni arriva ad essere commovente: ci sono cuccioli che si nascondono dietro le gambe della mamma semplicemente perché qualcuno li osserva o per un complimento inaspettato.
Un’emotività “eccessiva” può legittimamente divenire anche motivo di preoccupazione? Non di rado i genitori si angustiano se il bimbo risulta oltremodo “fragile”, quando piange frequentemente ed al minimo rimprovero e ove il pianto sgorghi irrefrenabile ad ogni tentativo dell’adulto di correggere, instradare o orientare il piccolo.
Dietro un atteggiamento “piagnucolone”, insicuro o indeciso si cela una carenza di autostima? Come il genitore può sostenere un figlio che tendenzialmente si scoraggia subito? Come può affrontare i timori del bambino ed aiutarlo a superarli?
Vitadamamma ha posto queste domande al suo esperto psicologo, il dottor Giuliano Gaglione.
Qui di seguito i consigli dell’esperto:
Sin dalla più tenera età i bambini reagiscono ad alcune pressioni esterne in maniera differente a seconda del loro temperamento; ad esempio c’è chi si allontana, chi piange e chi sorride a persone sconosciute. Queste basi biologiche, unite ad influenze ambientali comportano delle differenze adattive nel modo in cui un individuo si pone dinanzi ai fattori esterni.
Spesso i bambini, qualora esposti ad ambienti pressanti a casa, a scuola o in altre zone, possono essere turbati da situazioni specifiche, le quali possono a loro volta provocare timori, paure e ansie.
Se i piccoli sono dotati di risorse valide per affrontare le situazioni stressanti, come ad esempio l’uso della fantasia e dei giochi (i quali possono consentire di elaborare tali eventi minacciosi trasformandone il significato che agli occhi dei bambini hanno), allora tali risorse possono fungere da motore per garantire uno sviluppo basato sull’autonomia e su una soddisfacente conoscenza personale.
Non dimentichiamo che per i nostri figli un elemento fondamentale per poter affrontare le loro ansie è la stima di sé: se il bambino crede in sé e nelle sue risorse, può impegnarsi con maggiore facilità a fronteggiare questi ostacoli; nel momento in cui si sente vittima del proprio reiterato timore, invece, può sfociare in una situazione patologica dove per prima cosa è necessario chiedere aiuto.
Le prime persone a cui sarebbe opportuno che i piccoli si rivolgessero sono i genitori, i quali dovrebbero porsi degli interrogativi concernenti il loro stile educativo; spesso il “carattere pauroso” può essere trasmesso di generazione in generazione, per cui se i genitori sono ipercontrollanti, in quanto timorosi per i propri figli, è possibile suscitare in loro uno stile di vita improntato sulle preoccupazioni. Inoltre ci possono essere padri e madri punitivi, ostacolanti, umilianti o incoerenti e tali fattori non impediscono una crescita libera finalizzata ad un processo di elaborazione autonoma della personalità del bambino.
Il compito principale dei genitori è quello di accettare, accogliere e condividere le difficoltà espresse dai figli, in modo tale da garantire loro un punto di riferimento, un sostegno costante.
Mamma e papà devono inoltre imparare che ogni bambino ha i suoi tempi per poter elaborare ed affrontare le proprie preoccupazioni: in particolare se si dà un consiglio su come vivere una situazione pressante, non è opportuno aspettare che il piccolo la risolva subito, ma occorre pazientare, essere indulgenti, saper creare un dialogo serio, dolce, ma deciso: è questo che vogliono i figli, sicurezza e dolcezza.
Un consiglio? Non risolvete le questioni al posto dei vostri figli perché in tal modo essi non svilupperanno quel senso di autonomia e responsabilità assolutamente utili per il loro avvenire, sarebbe molto comodo che un problema enorme per un bambino venisse risolto da un genitore che considera lo stesso problema come più semplice, ma è assolutamente importante spingere i figli verso l’indipendenza, ma un’indipendenza controllata e seguita, anche perché quando essi si sentono privi di punti di riferimento, in un labirinto senza uscita, in quel caso è di notevole utilità “la mano” genitoriale.
In realtà un altro spazio in cui spesso si riscontrano difficoltà è quello scolastico: sono differenti i casi in cui gli allievi si focalizzano sull’importanza del “voto”, del fare bella figura agli occhi dei compagni di classe, della famiglia e degli insegnanti. Per tal motivo, colmi di aspettative da parte di tutte queste persone, affrontano le loro performances (compiti in classe, interrogazioni, verifiche, esposizioni ecc ecc) colmi di tensione e nonostante ricevano critiche addolcite da toni dolci e fiduciosi, non riescono ad accettare di “aver fallito in qualcosa”; per cui la scuola diventa un luogo di timori, di ansie, ma anche di competizione, perché se qualche compagno di classe riesce ad effettuare una performance più lodevole dello studente ansioso, ecco che scatta automaticamente la gelosia.
Questi stessi bambini temono anche di raccontare ai genitori di aver preso un voto poco soddisfacente a scuola, in quanto credono che il “numero magico” possa provocare delle differenze con il fratellino o la sorellina.
A tal punto i genitori dovrebbero innanzitutto ascoltarli e successivamente trasmettere due messaggi di fondamentale importanza: 1. si va a scuola per imparare: se fossimo tutti già istruiti, le scuole sarebbero inutili; 2. non è tanto importante il voto, quanto l’impegno che si è profuso nello svolgere quel determinato compito.
Ovviamente bisogna anche analizzare l’ambiente scolastico in cui questi bambini trascorrono le loro giornate: se si vive un clima basato sulla competizione e sulle tensioni, a volte amplificato anche dagli insegnanti, può accadere che un bambino più sensibile a questi stati pressanti possa provare disagio; pertanto sarebbe utile che il docente facesse capire agli studenti innanzitutto che ciascuno di loro è una persona a sé stante, poi, più che creare delle differenze e climi competitivi, sarebbe utile creare uno spirito di condivisione finalizzato all’arricchimento del bagaglio personale di ogni discente e del “sistema classe”; se proprio dovesse emergere un pizzico di competizione (che spesso si verifica non solo nel contesto scolastico) esso deve avere come finalità il miglioramento e non le tensioni.
Infine, raccomando ai genitori e agli insegnanti di non focalizzare l’attenzione solo e sempre sull’andamento scolastico dei loro figli, ma di spronarli anche in altre attività, perché la cultura, ma genericamente la vita, non la si impara solo tra le quattro mura di un’aula …