Per i marò italiani, accusati della morte di due pescatori italiani il 15 febbraio scorso, si aprono le porte del carcere.
Così ha deciso il Tribunale, rappresentato dal magistrato Gopakumar che ha stabilito il trasferimento di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone nel carcere centrale di Trivandrum con provvedimento immediato, per due settimane fino al 19 marzo.
Sono passati 15 giorni dal fermo dei due marò, che hanno usufruito finora di un regime di “cortesia”, ospitati presso i locali della Polizia di Kochi e successivamente di Kollam, fino ad oggi è stata risparmiata loro la prigione
Si fanno sempre più tese le relazioni tra Italia e India.
Durante l’udienza l’avvocato difensore Suhail Dutt ha presentato una petizione formale da parte del governo italiano con cui si avanzava richiesta per un trattamento di riguardo dei due marò, in virtù del servizio di Stato che stavano prestando sull’imbarcazione Lexie al momento dei fatti interessati e dato il clima di forte ostilità, facilmente degenerabile, fomentato dalla stampa indiana verso i militari.
Latorre e Girone hanno ascoltato pressoché in silenzio il dibattito, manifestando quel composto e dignitoso riservo che contraddistingue la loro appartenenza.
I militari si sono rifiutati di entrare in una cella del carcere, come richiesto da loro dal Sottosegretario agli Esteri Italiano, che si è fatto interprete della nota ufficiale della Farnesina che dichiara sinteticamente “misure inaccettabile”.
La realtà è che i due militari potrebbero rimanere in carcere per 3 mesi prima che vengano rilasciati dietro pagamento di cauzione pecuniaria.
De Mistura, assieme al Console Generale Cutillo, si è rivolto al direttore del carcere appellandosi al punto 6 della decisione giudiziaria, che ha condotto i marò in stato detentivo, e che esprimeva “la possibilità di una collocazione alternativa al carcere”.
Una residenza alternativa, seppure sorvegliata è intesa a garanzia dell’incolumità dei militari, che non può essere garantita in un carcere indiano per le dinamiche di inasprimento delle tensioni, che sono state create dalla stampa indiana, indirizzate ad una popolazione composta in prevalenza da pescatori.
Intanto si attende da una parte la perizia tecnico-scientifica sulle armi sequestrate, dall’altra il procedimento della causa in corso all’Alta Corte di Kochi, circa la territorialità dell’incidente.
Ricordiamo che secondo le norme del diritto internazionale, la competenza giuridica è italiana; nella fattispecie l’imbarcazione battente bandiera italiana, dalla quale il governo indiano accusa siano partiti i colpi che avrebbero ucciso i pescatori, si trovava in acque internazionali.
L’India attende le elezioni del 14 marzo, che tanto accendono l’ambiente politico autoctono. La strumentalizzazione del caso dei marò, attuata per conquistare il favore del popolo (e del voto) passa attraverso una linea dura; seguono prese di posizioni discutibili.
Lo Chef Minister di Kerala ha dichiarato in Parlamento che “le indagini proseguono nella giusta direzione, nessuna clemenza verrà manifestata per gli imputati italiani”.
La Farnesina riferisce la vivissima preoccupazione del governo italiano per il provvedimento di carcerazione dei marò, ribadendo l’inaccettabilità delle misure adottate; si rinnova l’impegno del Governo a garantire la massima tutela e assistenza ai militari.
I famigliari dei militari prigionieri hanno appreso la notizia della carcerazione come la caduta di un fulmine sulla testa, rimanendo basiti per la degenerazione degli eventi. Il cognato di Latorre commenta: “non riusciamo a crederci” e ancora “vedo troppa decisione da parte dello Stato Indiano. Invece non so cosa lo Stato italiano stia facendo, non capisco”. Sono pronti a partire per l’India per stare vicino ai propri cari.
La portavoce dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton ha commentato: Il caso è di “competenza delle autorità italiane, che non hanno finora richiesto la nostra assistenza”.
Il Professor Sinagra, docente di diritto delle Comunità europee alla facoltà di Scienze Politiche all’Università “Sapienza” di Roma così commenta la vicenda: “Tecnicamente è sequestro di persona: gli indiani hanno rapito i due marò… la competenza è dello Stato italiano, perché il fatto si è verificato in acque internazionali, dove si applica la legge della bandiera. Se si è verificato… Il paese ha mostrato poca dignità nazionale e la responsabilità è di tutti, a partire dal premier in giù, passando per il ministro degli Esteri, l’ambasciatore…” Quando gli viene chiesto come si uscirà da questa situazione risponde “Non lo so… a meno che non si passino sottobanco dei soldi al governo locale indiano. In altri tempi avremmo cominciato a bombardare”.
Una domanda ci sorge spontanea: sarà in grado un governo di tecnici quale è il nostro, che di politico ha ben poco, di far fronte dignitosamente alla situazione?