Militari prigionieri in India – Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – sono i nomi dei due militari, fucilieri appartenenti al Battaglione San Marco, attualmente detenuti, in trattamento di “cortesia”, presso una caserma di Kerala in India, prossimi al trasferimento in prigione e al processo con l’accusa di aver sparato e ucciso due civili; per tale reato la giurisdizione indiana prevede la condanna a morte o, in alternativa, l’ergastolo, secondo l’art. 302 del codice penale indiano.
La San Marco era presente sulla petroliera italiana Lexie, che stava attraversando acque internazionali, come dimostrato dai rilievi satellitari, a difesa dell’imbarcazione, durante l’attraversamento di quelle acque.
Tali precauzioni sono state studiate a seguito di numerosi attacchi pirata che si stanno verificando con una frequenza inquietante, nella zona interessata dall’episodio, al punto da non rendere sicuri i passaggi delle imbarcazioni adibite a trasporto merce.
La già discutibile procedura processuale indiana, apre un caso segnato in partenza da vizi talmente evidenti da escludere categoricamente un coinvolgimento nell’incidente dell’uccisione dei due pescatori, da parte dei militari italiani.
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I pescatori dell’imbarcazione che ha riportato due morti, sostengono che la sparatoria sarebbe avvenuta a 33 miglia dalla costa; il pubblico ministero riporta dati che parlano di 22,5 miglia. In entrambe le tesi, si tratta di territorio che oltrepassa di ben 12 miglia le acque territoriali, denominato territorio internazionale. Infatti il concetto di “acque contigue”, recepito dal diritto internazionale, non si applica al reato di omicidio, ma solo nei casi di contrabbando, immigrazione, sanità e droga. La posizione della nave in acque internazionali, e non indiane come sostenuto dai giudici indiani che si occupano del caso, giustifica la richiesta dei legali dei marò di ricorso “per eccezione (difetto) di giurisdizione” all’Alta Corte di Kerala, ovvero un’istanza che richieda la corretta paternità della giurisdizione che, data l’ubicazione in acque internazionali (come da registrazione satellitare), passerebbe di competenza alla giustizia italiana, giacchè la bandiera battente della petroliera è del tricolore nostrano.
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Sospetti su una mancanza di trasparenza e procedura da parte delle Autorità di Kerala sono da evincersi anche da altri particolari. Le autorità di guardia Costiera Indiana e le autorità portuali, erano state avvisate circa un attacco pirata subito dalla petroliera greca Olympic Flair, nelle ore dell’incidente. Le Autorità indiane negano di aver ricevuto tali avvisi, nonostante la denuncia della petroliera greca. L’allarme dei greci, avrebbe fatto attuare un’operazione di anti-pirateria da parte delle autorità indiane. Di lì a poco l’arrivo del peschereccio nel porto di Kochi con i due morti a bordo e l’invito da parte delle Autorità Indiane, accolto con superficialità, nei confronti del comandante della petroliera italiana Lexie, ad entrare nel porto di Kochi per procedere all’identificazione dei pirati catturati. Tra gli accordi contrattuali intercorsi tra gli armatori e lo Stato Maggiore della Difesa, cui fanno capo tutte le Forze Armate, non è stato pianificato un protocollo di emergenza che preveda, in caso di attacco, l’assunzione del comando della nave da parte dei militari italiani, specificatamente preparati per gestire tali situazioni. Nota altamente stonante e dissociativa della coerenza. La Autorità indiane locali negano l’abituale presenza di pirati nelle loro acque o nelle zone limitrofe. La petroliera greca è esente da qualsiasi fermo o chiarificazione da parte delle Autorità Indiane, che anzi, hanno taciuto l’episodio. Ovvio è che le Autorità Indiane hanno tutto l’interesse a che la vicenda di un’eventuale minaccia pirata non venga diffusa.
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I giudici indiani, che imputano con convinzione colpevolezza ai militari italiani, negano e l’autopsia delle vittime e gli esami balistici che individuerebbero il calibro delle armi usate. Le scuse del rifiuto sono il mancato rispetto e la violazione del corpo dei defunti che comporterebbe l’autopsia e la non competenza di fatto dell’esame balistico. Le leggi internazionali e il rispetto verso la procedura sembrano essere un optional per la giustizia indiana.
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La popolazione, debitamente manovrata e sobillata, si sta organizzando per manifestare affinché venga arrestato e processato anche il comandante della Lexie. I familiari delle vittime chiedono risarcimenti in denaro, condizione per loro necessaria all’autorizzazione del rilascio della petroliera Lexie, ora in fermo nelle acque indiane.
E’ indubbio che questo atteggiamento celi un forte sentimento anti-italiano che fonda le sue ragioni in intrighi non pubblici e non dichiarati. La strumentalizzazione in atto della vicenda si colloca in un clima di politica interna indiana che va oltre e sfocia in interessi internazionali.
L’Italia si è tanto prodigata, ed ha giocato un ruolo non trascurabile, contribuendo al rafforzamento della “Difesa Indiana”, nella pratica ciò si traduce, riportando qualche esempio, con assistenza alla flotta militare, partecipazione alla realizzazione della prima portaerei indiana. Ovvio che questo attivismo infastidisce paesi che si trovano a proporre prodotti concorrenti, rispetto a quelli italiani, su un mercato, quello indiano, ancora tutto “da costruire”.
Da qui al sospetto che possano mettersi in pratica, meccanismi non puliti per ostacolare l’Italia, il passo è breve.
Si tratta solo di ipotesi tutte da verificare, ma tanti piccoli particolari contribuiscono a mettere a fuoco il quadro.
- Perché la NATO non è intervenuta nella difesa dei militari italiani?
- Chi sono i paesi “forti” che muovono le pedine dell’organizzazione?
- E sopratutto che interessi hanno?
Una nazione dall’economia forte, che in Europa si permette di dettare legge, entrata in un business di vendita di armi a paesi che provengono da realtà povere, come l’India, che interessi avrebbero ad intervenire in una diatriba come quella in atto? Nessuno. Anzi l’interesse è quello di inclinare i rapporti tra i due paesi, per subentrare all’Italia nel commercio.
Perché i telegiornali italiani riportano la carcerazione dei due marò come sesta notizia (dunque non di primaria importanza) nelle news, non dando il giusto spazio a quella che sta passando come questione diplomatica, quando invece dovrebbe trattarsi di mera questione militare?
La Farnesina sottolinea la disponibilità dell’Italia a collaborare alle indagini, a tal proposito è stata inviata una missione di alti funzionari in India, parallelamente si procede con una rogatoria internazionale al fine di acquisire quei documenti probatori che l’India non intende prendere in considerazione: perizia balistica e delle condizioni dello scafo del peschereccio, autopsia dei cadaveri in primis. Nel contempo la petroliera italiana viene perquisita ad opera delle Autorità Indiane.
Ma chi sono i due fucilieri accusati?
Sono due soldati del Reggimento San Marco, militari che hanno superato una dura selezione per entrare nel battaglione. Sono esperiti, hanno partecipato alle più importanti missioni all’estero. Il rapporto lineare compilato dai due marò sulla vicenda, esclude la possibilità di errore da parte loro, tutto è avvenuto secondo le procedure.
Li abbiamo visti nelle immagini ai telegiornale: lo sguardo fiero e sicuro di chi sa che ha compiuto il proprio dovere, in onore verso la propria Patria e verso la divisa che indossano.
La lentezza di reazione con la quale il Governo Italiano si sta muovendo, non è altro che uno delle tante caratteristiche del nostro paese, che sempre più perde credibilità e potere di azione nell’ambito internazionale.
Se invece di batter bandiera italiana, la petroliera fosse stata statunitense o francese, questo dissidio sarebbe già stato dissipato…o forse nemmeno ci sarebbe stato.
Questa povera Italia, sempre più in balia degli umori altrui e che nemmeno sa reagire come si deve, all’intimazione senza fondamenta di chi si arroga il diritto di dettar leggi proprie in acque internazionali, e che consegna due dei propri figli innocenti ad una paventata giustizia estera che invece di contenere i valori alti cardini dell’ordinamento, somiglia tanto ad un colabrodo da cui fuoriesce tutta l’essenza, che trattiene solo il marcio.
Questa povera Italia che è diventata un burattino di legno nelle mani dei potenti a cui si assoggetta, che chiede l’impegno di missioni difficili all’estero da parte dei volontari, e non riesce nemmeno a difenderli dal bullismo esasperato di una giustizia estera assurda.
Il nostro Presidente della Repubblica, commenta: “la situazione è ingarbugliatissima!”.
La maggioranza degli italiani pensa:
“Caro Presidente Napolitano, Capo delle Forze Armate Italiane, così designato dalla Costituzione, nonchè Primo Cittadino rappresentante del Tricolore…tiri fuori i marò!…e salvi i nostri due militari, figli della nostra bandiera!“