E’ semplice dispensare consigli a destra e a manca, basandosi su una razionalità pressoché equilibrata in modo tale da poter fornire delle dritte utili per garantire una vita migliore a se stessi e agli altri; in un certo senso siamo un po’ tutti abili a capire quali possano essere razionalmente le vie di uscita più giuste per poter affrontare un problema, ma siamo davvero sicuri di fornire consigli corretti?
Innanzitutto per poter captare quale possa essere la scelta più giusta per un’altra persona, è necessario immedesimarci quanto più possibile nella sua personalità, nel suo temperamento, insomma, nei suoi stati d’animo; dunque bisogna sapersi identificare nell’altro senza farsi tuttavia trasportare completamente, annullando la propria persona.
Una volta che “si legge con la mente e si osserva con gli occhi dell’altro”, si può dispensare in questo caso un consiglio,una direttiva utile per fronteggiare determinate problematiche; tuttavia è necessario garantire dei suggerimenti validi riuscendo a capire quel’è il suo modo personale di adattarsi alle circostanze.
Ciò non esclude che si possa fare un confronto tra i modi di fare propri e di colui che necessita di un consiglio; la magia di una relazione sta proprio nell’arricchire un individuo e di permettere allo stesso di trasformare i propri limiti in risorse.
Questo discorso, scusate se pecco di presunzione, credo sia lineare, ma cosa accade se forniamo un consiglio e l’altra persona acconsente ma non mette a frutto ciò che gli è stato suggerito?
Tre possono essere le risposte:
1. Il suo “si” è nient’altro che un modo per assecondare l’altra persona in modo tale da porre fine a un contraddittorio che potrebbe essere fastidioso.
2. Si possono riscontrare difficoltà a tradurre in azione ciò che è stato proposto.
3. Non c’è intenzionalità a seguire quel determinato consiglio.
Mi soffermerei volentieri su questo ultimo punto, perché, oltre alla necessità, è la volontà a determinare un cambiamento, una svolta; è pur vero comunque che i cambiamenti possono essere associati a crisi, per cui coloro che richiedono dei consigli non riescono o non vogliono “soffrire per cambiare”; per tal motivo è importante capire cos’è che sottende una richiesta di aiuto cercando di intuire se c’è la motivazione a. a fidarsi e affidarsi all’altro b. a modificare i propri stili di vita compromettendo il proprio assetto fisico e mentale.
Quindi, tornando al punto di partenza, se lavoriamo per aiutare gli altri, non serve assolutamente solo la ragione, ma anche i sentimenti e le emozioni perché dietro un singolo dubbio si possono celare tanti punti nevralgici che non permettono all’individuo di risolvere quest’impasse; per tal motivo bisogna entrare in una sintonia emotiva e cognitiva con l’altro, capire quanto è disposto ad abbandonare una strada per poter poi rinascere: riflettiamo bene, cari lettori, le rinascite non sempre sono semplici, anzi, è la nascita stessa a comportare difficoltà: se solo pensiamo ad un bambino che nasce piangendo possiamo capire quanto in realtà sia faticoso affacciarci ad una realtà nuova, imprevedibile.
Dunque, in qualunque azione che un individuo metta in atto c’è una percentuale di imprevedibilità che potrebbe preoccuparlo a tal punto da non voler cambiare e rimanere sul punto di partenza: in questo caso non è consigliabile “forzare la mano” ma aspettare e magari incentivare lievemente l’interlocutore a “compiere il primo passo”, analizzando quali possano essere i vantaggi di un eventuale cambiamento.