Ho assistito alla proiezione de “Il ragazzo dai pantaloni rosa” seduta accanto a mia figlia di 15 anni, la stessa età eterna di Andrea Spezzacatena, il protagonista del film.
In meno di 2 ore, mia figlia ed io siamo cambiate insieme, lo abbiamo fatto in silenzio, a luci spente, davanti allo schermo e con la consapevolezza di accogliere la voce di un ragazzo che è già il racconto di se stesso. Uscendo dal cinema eravamo farfalle dentro le nostre lacrime, altri bruchi dell’anima avevano compiuto una metamorfosi dolorosa.
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” ha il merito di stravolgere la narrativa sul bullismo, lascia esplodere il silenzio, dà una nuova dimensione all’inconsapevolezza (di giovani e adulti) e, per quanto indirettamente, richiama le istituzioni a una presa di coscienza.
La storia in breve:
Andrea Spezzacatena ha lasciato questa terra il 20 Novembre 2012, lo ha fatto in casa sua, come atto volontario di risposta alla violenza psicologica che subiva dai compagni di scuola.
In quei giorni, per ragioni di lavoro, la mamma era in Calabria e la tragedia si è disvelata dinnanzi agli occhi del fratello minore e del papà; la madre era all’altro capo del telefono mentre i due entrando nell’appartamento le hanno lasciato ascoltare ciò che non poteva vedere: urla disumane dinnanzi al loro Andrea impiccato.
Il cyberbullismo
Andrea era oggetto di bullismo e cyberbullismo di matrice omofoba, in particolare era stato reso protagonista di una pagina social dal titolo “pantaloni rosa” costruita e amministrata da uno sparuto gruppo di compagni di scuola con l’intenzione di deridere, denigrare, mortificare e annientare un coetaneo.
La pagina, chiusa per contenuti omofobi, potrebbe essere definita come una “rappresentazione di scuola” del cyberbullismo. Aperta nel 2012, ovvero in un momento storico in cui la consapevolezza della pervasività e diffusività dei social era ancora bassa, ha dimostrato quanto un ragazzo possa essere annientato nella vita reale e relazionale a causa di una narrazione virtuale.
Quando Andrea se ne è andato, a 6 giorni dal suo compleanno, la mamma e la famiglia tutta erano all’oscuro delle vessazioni che il ragazzo subiva, lui, pur parlando con sua madre, “non parlava di niente”, ovvero taceva le violenze, le mortificazioni, le afflizioni e aveva taciuto anche di essere la vittima designata di quella maledetta pagina. Se ne è andato senza un biglietto di addio.
Andrea era accusato di essere omosessuale, nessuno sa se lo fosse veramente, nemmeno la mamma, e, in ogni caso, Andrea era Andrea, cos’altro se no! Alla stessa stregua di ogni figlio e di ogni ragazzo, come ogni persona umana avrebbe dovuto avere il diritto di essere solo se stesso senza etichette.
A quanto pare l’etichetta è arrivata insieme una lavatrice disgraziata quando un capo rosso ha stinto il bucato tingendolo di rosa. Dentro il cestello anche un paio di pantaloni di Andrea che lui, tuttavia, gradiva indossare anche in quella tonalità fortuita.
Solo dopo la morte del ragazzo sono emersi ad uno ad uno i pezzi taglienti e spigolosi di un puzzle: la scoperta della pagina, le sopraffazioni e le violenze. Così, una nuova luce ha illuminato la vita a cui Andrea aveva già rinunciato e il suo silenzio, quello stesso in cui si chiudeva lamentando mal di testa, ha incominciato ad urlare in modo assordante. La mamma ha rivisto suo figlio e degli accaduti sotto una lente differente.
Prima di essere un film, Andrea è oggi un ritratto a matita sulla copertina azzurro cielo del libro: “Andrea oltre il pantalone rosa” scritto dalla mamma, Teresa Manes.
Teresa ha compiuto quest’opera di scrittura quando ha deciso di rompere il silenzio ereditato dal figlio per diventare una voce testimoniale ed evitare che possa consumarsi il dolore di altri Andrea in altre scuole, in altre città e in altre famiglie ignare.
3 buoni motivi per portare anche tuo figlio adolescente e preadolescente a vedere “Il ragazzo dai pantaloni rosa”
Intanto ci sono due motivi determinanti che chiamano noi adulti alla visione del film:
- in sede giudiziaria la vicende della morte di Andrea non è stata riconosciuta come conseguenza del bullismo e dell’omofobia;
- la pellicola rappresenta come la vita di questo ragazzo sia stata violata in prima istanza a scuola. Lascia aperta una domanda senza soluzione: com’è possibile che nessun adulto abbia saputo vedere oltre il rendimento in calo di Andrea, oltre i suoi pantaloni rosa e prima che questi potessero divenire il titolo di una campagna di devastazione online?
Mamma Teresa è riuscita a cogliere il pericolo del bulirsmon laddove questo stesso rischia di trasformarsi in cancro e in morte: stiamo banalizzando il male, l’uso indiscriminato della violenza verbale, la riduzione ai minimi termini della prevaricazione e della denigrazione sono le basi di una profonda sottovalutazione delle conseguenze dei comportamenti bullizzanti e denigratori. Tutti noi, come adulti e, allo stesso modo, i ragazzi tra loro, lasciamo passare gli sfottò, li ascriviamo sottotraccia alla vita quotidiana, li declassiamo.
Il film lo mostra chiaramente: mentre la violenza gratuita lascia l’eco dell’ilarità nella bocca di chi la compie o la sfrutta a suo vantaggio, sulle spalle di Andrea e di tutte le vittime quell’agito feroce e reiterato carica il vuoto, lo stesso vuoto da cui questo ragazzo si è lasciato uccidere a 15 anni.
1. Porta anche tuo figlio a vedere “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, questo film gli mostrerà quanto dolore può nascondere un ragazzo lasciato solo, ignorato, denigrato, dimenticato dopo l’ennesima risata a suo danno.
La vita è un attimo, spesso a tradirla è l’attimo stesso in cui voltandoti senti di essere solo in mezzo agli altri. E la famiglia non sono gli altri, almeno non sono quella parte degli altri di cui hanno bisogno nostri figli.
C’è una scena in particolare in cui Andrea è solo in mezzo a tutti i suoi compagni: l’ultimo giorno di scuola nell’anno del 1° liceo, l’anno del grande salto. Mentre la scuola si fa corpo e gioisce, lui, Andrea, passa attraverso i festeggiamenti, c’è, è lì, ma non c’è ed è già altrove,
2. Fai in modo che tuo figlio veda queste scene perché potrebbero suggerirgli quanto è importante osservare e ascoltare. Quando un cuore comincia a battere in silenzio… allora è già un po’ morto.
L’Andrea che si racconta durante l’ora e 54 minuti di pellicola non lascia credere facilmente nella sua morte, anche se questa fine tragica echeggia sin dalle prime battute: “Oggi avrei 27 anni se… vabbè lo sapete” – dice all’inizio del film quella voce narrante che sembra disegnare un cielo invisibile sui muri bui della sala cinematografica.
Questo Andrea narrato a 12 anni dalla sua scomparsa dimostra quanto a lungo può mascherarsi un giovane ferito nell’animo: lui ha finto, ha sorriso cercando accettazione, ha persino amato chi lo stava uccidendo.
3. Porta anche tuo figlio in sala perché possa conoscere attraverso Andrea il suo dolore e possa trovare il coraggio di accogliere ogni sofferenza celata e di aiutarla a emergere.
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” ci lascia un’eredità vitale: il silenzio va rotto ed è essenziale che ogni giovane ne accolga la responsabilità, non solo in memoria di Andrea ma perché non accada main più.