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Autismo in lingua Maori si dice Takiwatanga (un termine inclusivo)

Takiwatanga è la terminologia Maori nata per definire la sindrome autistica. Si impone come una definizione inclusiva. In questo articolo il suo significat.

di Federica Federico

11 Novembre 2024

Takiwatanga: "nel proprio tempo e nel proprio spazio”

Takiwatanga è una terminologia (piuttosto recente) emersa in seno alla lingua Maori per definire gli autismi

 

È d’obbligo un’importante premessa, Takiwatanga non è una parola tradizionale della lingua Maori come, di fatto, “autismo” non può essere una parola tradizionale in nessuna lingua del mondo poiché la sindrome autistica è stata definita con questo termine solo nel 1910.

 

A parlare per primo di autismo fu lo psichiatra svizzero Eugen Bleuler in un articolo datato 1910-1911. A lui non si deve la classificazione psichiatrica del disturbo autistico per come lo conosciamo oggi, Bleuler ha avuto, piuttosto, il merito di identificare quello autistico come un pensiero circolare che si chiude su sé stesso.

L’etimologia del termine autismo si pone in perfetta armonia con questa definoizzione, deriva, infatti, dal greco autos che si traduce in se stesso lasciando spazio al riconoscimento della compromissione sociale e dei limiti comunicativi, in termini verbali e para-verbali, propri dell’autismo.

 

Questo per dire che nessuna lingua poteva esprimere il concetto di autismo prima del 1910, ovvero prima della nascita del termine stesso.

 

Takiwatanga nascita e significato

L’ideazione della parola Takiwatanga si deve a Keri Opai e si può tradurre con il concetto di “nel proprio tempo e nel proprio spazio”. Questa designazione dell’autismo riconosce allo spettro una complessità umana che il termine, per come classificato nella letteratura medica, rischia di perdere mentre viene trasposto dalle diagnosi alle persone.

 

La lingua Maori è la voce della Polinesia orientale e degli indigeni della Nuova Zelanda, si stima che la parlino (non come unica lingua) 149mila persone, di cui solo 50mila con piena padronanza.

 

Takiwatanga un termine Maori per definire l’autismo

Takiwatanga finisce per l’imporsi all’attenzione del mondo come un termine inclusivo, di fatto il pregio di questa definizione sta nel ribaltamento dell’angolo visuale da cui la cultura Maori dimostra di voler guardare alla sindrome autistica. 

 

Questa terminologia, infatti, non accoglie più la necessità di definire il soggetto in quanto autistico, piuttosto invita a una osservazione del mondo degli autistici come un luogo di espressione di un’umanità vitale e conduce l’osservatore stesso in un preciso tempo e spazio, il “suo – quello proprio dell’autistico”.

 

Questo angolo di osservazione non lascia spazio alle etichette, l’autistico non è il marginalizzato, il diverso o lo strano, smette di essere l’inadeguato, egli diventa, invece, l’espressione di un mondo personale e unico in cui si prende forma la compenetrazione, dall’osservazione all’ascolto, e letteralmente si entra nell’universo autistico come in un universo umano e senza pregiudizi.



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