Nella rubrica Libri da Leggere di Vita da Mamma, consigliamo “Ogni mattina a Jenin” di : Susan Abulhawa.
Titolo: Ogni mattina a Jenin
Autore: Susan Abulhawa
Genere letterario: romanzo
Casa Editrice: Feltrinelli
Numero di pagine: 390
Prezzo: 14,00 €
Le mie stelle: ⭐⭐⭐⭐⭐
Il libro in una parola: Radici
“Ogni mattina a Jenin” la trama in più o meno di 100 parole senza spoiler
Amal, la voce narrante del romanzo, è un ramo di uno dei tanti alberi sradicati dalla terra palestinese, è la nipote del patriarca della famiglia Abulheja e, attraverso lei, l’autrice racconta l’esodo di chi ha perduto la terra dopo l’Al-Nakba del 1948.
Jenin è il luogo in cui le radici recise, violate e sofferenti del popolo arabo trovano scampo. Lì un campo profughi diventa nuova casa e lì nel 1955 la nascita di Amal dimostra che la vita spinge sempre in avanti, anche quando il cuore è già in frantumi, anche quando l’essere umano prova ad opporsi al domani che arriva inesorabile.
Per quanto Amal porti il suo tronco, i suoi rami e il suo frutto lontano, fino in America, la Palestina la richiama a sé e ne pretende l’eredità.
Il filo conduttore di “Ogni mattina a Jenin”
Il tema della narrazione va oltre il conflitto e le sue motivazioni, qui si parla di costruzione delle sofferenze, di come il dolore eterno di un popolo possa essere nascosto e contemporaneamente alimentato. Susan Abulhawa lo sa bene, è nata in una famiglia palestinese in fuga dopo la Guerra dei Sei Giorni (1967) e ha vissuto in un orfanotrofio di Gerusalemme.
La sofferenza dell’intero mondo arabo sembra prendere forma nell’immagine di Dalia “Quella poco di buono di una beduina”: mentre lei mastica il dolore, lo ingoia nei silenzi e lo sputa fuori nelle distanze, la narrazione la trascina attraverso un mondo che sottrae, deruba, allontana e impedisce.
Dalia mantiene le distanze persino dai ricordi, è un corpo vuoto di speranza, una madre orfana che non ha saputo bere dalla coppa della vita nuova perché era già avvelenata dalle coppe delle vite perdute.
L’emozione dell’ultima pagina
Dalle ultime pagine dei romanzi si attendono riscatti, qui invece viene data solo una conferma che travalica la storia di Amal e della sua famiglia ma, più, profondamente riassume una ragione storica: il conflitto israelo-palestinese dimostra il fallimento della storia come maestra di vita. La morte non può essere condotta e governata da chi l’ha vissuta e subita, la scelta di aggredire e affliggere corrisponde alla amara dimostrazione che la violenza alberga nell’uomo ed è un male insanabile da cui l’umanità intera non conosce scampo. Tra tutte le violenze, la violenza che chiede vendetta è la più atroce.
Il personaggio più bello di “Ogni mattina a Jenin”
Ogni donna, ogni uomo e ogni bambino di questo romanzo tiene in sé un carico umano determinato dal connubio tra la sua storia personale e le vicende della terra generatrice. Quella che emerge non è semplice tristezza; come si legge sulla quarta di copertina: “La nostra tristezza fa piangere le pietre ”
La frase, la scena, l’immagine o l’atmosfera di “Ogni mattina a Jenin” che resta per sempre
In questo romanzo si incontrano le vite che fanno la storia, i personaggi si intrecciano con tutti i diversi drammi che noi osserviamo in lontananza, sulla carta stampata e in TV. Non può non colpire l’altra mamma: Jolanta, il suo ricordo consuma il passaggio più doloroso del romanzo:
“David parlava di Jolanta con evidente devozione. Nella mia mente, era tutto quello che avrei voluto mia madre fosse stata: dolce, premurosa e affettuosa. Jolanta era stata una diciassettenne fragile e impaurita quando gli Alleati avevano liberato il suo campo di concentramento. Tutta la sua famiglia era stata sterminata durante l’Olocausto. Ironicamente, ed era un’ironia che mi artigliava la mente, anche la vera madre di David, mia madre, era sopravvissuta a una carneficina che le aveva decimato la famiglia. Se non che quest’ultima era avvenuta a causa del primo, portando alla luce l’inesorabile verità che i palestinesi avevano pagato il prezzo dell’Olocausto ebreo. Gli ebrei avevano ucciso la famiglia di mia madre perché i tedeschi avevano ucciso quella di Jolanta.
“E tua madre? Com’era?” chiese David. Un profondo senso di tristezza mi sorse dentro e mi avvolse come una scarna corazza, pronta a respingere ogni giudizio negativo del ricordo di mamma”.
3 buoni motivi per leggere “Ogni mattina a Jenin”
- Attraverso la narrazione della vita dentro i territori in guerra, questo romanzo dimostra quanto possa essere devastante il controllo misto sul territorio, ovvero il controllo così come imposto dopo gli accordi di Oslo del 1993. Di fatto la Palestina è divisa non uniformemente (ma a macchia di leopardo) in 3 aree: una a controllo palestinese, una a controllo israeliano e un ultima a controllo misto su territorio palestinese e con potere di vigilanza dell’esercito israeliano. In quest’ultima area la guerra consuma quelle atrocità e vessazioni quotidiane che più mortificano, devastano e sottraggono alla popolazione oriunda.
- “Ogni mattina a Jenin” scoperchia il vaso degli orrori, ma non lo fa con quella pioggia di immagini davanti alle quali ormai non facciamo che distogliere lo sguardo, lo scoperchia con l’orrore dei sentimenti e del dolore dei superstiti.
- Questo romanzo dimostra che le radici trovano pace solo nella terra in cui fu il seme, nessun altro posto è casa.