Il termine conflittualità evoca l’idea di opposizione, e quella tra i ruoli è spesso sperimentata dai genitori nella relazione con i figli: il genitore consiglia, il figlio non si adegua; il genitore detta le regole, il figlio viola; il genitore indica, il figlio sfugge. La conflittualità tra genitori e figli corrisponde, dunque, a un mancato incontro.
Per genitori e figli incontrarsi, ovvero convergere su un immaginario equatore che assorba la distanza tra i poli, è un percorso che passa attraverso due consapevolezze:
- i figli non ci appartengono e noi non apparteniamo ai figli, ma possiamo creare insieme uno spazio condiviso e confortante dove conoscerci;
- come genitori, dobbiamo accettare l’errore del figlio. L’errore, o il difetto, va inteso come luogo in cui il ragazzo sperimenta la sua presenza nel mondo e impara sulla sua pelle a distinguere il giusto dall’ingiusto, il fruttuoso dall’inutile e deleterio, il bene dal male.
Rapporto tra genitori e figli: ciascuno di noi è persona
Quando i bambini sono molto piccini, fino alla preadolescenza, noi genitori segniamo la strada sentendo, a ogni passo, il peso di una responsabilità attiva.
Gradualmente dobbiamo modificare il nostro comportamento in modo da fare spazio al ragazzino affinché sia lui ad assumere questa responsabilità sulle proprie spalle. Immaginate una strada buia, il genitore del bimbo piccolo tiene la lampada a olio tra le mani e rischiara la via, sceglie il passo da dare al cammino e la direzione da prendere a ogni bivio.
Quando il ragazzino sarà in grado di tenere tra le sue mani e gestire quella lampada, il buon genitore deve affidargliela e cedere il passo. È così che i ragazzi crescono: imparano, piano piano, a camminare da soli tenendo in mano la loro luce.
“Mettere la lampada nelle mani dei figli” riduce la conflittualità in famiglia. Vediamo perché e in che misura.
I preadolescenti, dai 10-11 anni in poi, vivono nel loro intimo cambiamenti profondi che rispondono a una serie di bisogni mai lontani dalla loro natura di “esseri sociali”, ovvero dal loro stare in mezzo agli altri.
Questi uomini e queste donne in miniatura sentono di dover dare un senso a sé stessi, vogliono fortemente disegnare la loro identità e lasciare un’impronta nel mondo (anche nel mondo prossimo, tra gli amici, a scuola, a casa e in famiglia). Questi ragazzi vogliono essere sé stessi e pertanto vogliono scegliere da soli.
I genitori possono rilevare questa propensione all’autonoma realizzazione nella vita quotidiana: i ragazzini vogliono fare i compiti a loro modo, scegliere da soli i vestiti, organizzare autonomamente lo spazio della loro stanza, manifestano preferenze originali per amici, musica, letture, giochi, luoghi ecc… Senza contare che tendono a staccarsi dal genitore: tornano da scuola o vanno a scuola da soli, si trovano e fanno le prime passeggiate con la cerchia di amici ecc…
Ogni scelta è una lampada: più il bambino si allenerà nella gestione del lumicino, più la sua impronta nel mondo si farà concreta.
L’esempio del genitore resta il più grande insegnamento
Nel rapporto genitore-figlio, conta la qualità del tempo che si dedica ai figli, contano le parole e il peso che ad esse viene dato nei dialoghi, anche in quelli più semplici.
A colazione, qualche volta, prendo le letterine dello Scarabeo per lasciare un messaggio sul tavolo. I miei figli fanno colazione dopo di me (sono ormai grandicelli, quasi 13 e 14 anni) perché nel frattempo io mi preparo, una mamma che lavora è un anello nella catena familiare che incastra tempi e impegni e la vita, spesso, ha i minuti contati. Anche se sono altrove mentre i miei figli bevono il latte da soli, io voglio essere con loro “dentro la loro autonomia” e nel messaggio sulla tavola.
Essere dentro l’autonomia dei figli è quell’impronta con cui le mamme sono parte della crescita dei loro ragazzi, pur con la consapevolezza di doversi, piano piano, fare da parte.
Accettare l’errore del figlio è un passaggio fondamentale della relazione genitori-figli
Molte volte, prima che i miei figli imparassero a fare una colazione “ordinata”, è capitato che rovesciassero il latte per terra. Allo stesso modo, qualche volta sono andati a scuola senza aver completato i loro compiti e hanno passato il cerchio di fuoco del brutto voto. È accaduto loro anche di dimenticare a casa il quaderno, il flauto o i pastelli…
Come madre ho sempre accettato il loro errore. Del resto, anche io ho sbagliato e continuo a sbagliare. Anche loro hanno visto i miei limiti e ne sono coscienti.
Gli unici esseri umani che non sbagliano sono quelli che non fanno
Spesso nelle situazioni quotidiane tendiamo a sostituirci ai figli: prepariamo il latte al ragazzo di 12-14 anni o gli facciamo la cartella perché così si fa prima, e con lo stesso spirito pressiamo il liceale che ha preso un 5 o che l’indomani ha una verifica o un’interrogazione.
Tutto questo “mettersi nei panni e al posto del figlio” è tanto più stridente quanto più il ragazzo cresce. Sin da piccoli i bambini dovrebbero fare palestra di autonomia: vale il montessoriano “Aiutami a fare da solo” affinché il bimbo cresca capace di mettersi alla prova diventando un adolescente resiliente e libero.
Sulla base di queste riflessioni, proviamo a individuare alcune strategie utili per ridurre la conflittualità tra genitori e figli preadolescenti
- Non giudicare tuo figlio per ogni suo errore, dagli la possibilità di sbagliare per migliorare.
- Non “immedesimarti” troppo nel ragazzo, prova piuttosto a guardare il mondo attraverso i suoi occhi.
- Dai sempre un’alternativa al comportamento di tuo figlio e chiariscigli i benefici: questo approccio va oltre il mero consiglio perché consente al ragazzo di guardare la realtà da un’altra prospettiva. Ovviamente purché nessuna imposizione venga travestita da indicazione (i figli più grandicelli scappano quando sentono puzza di obbligo).
- Impara a interpretare i suoi gesti e i suoi atteggiamenti, prima e oltre le parole.
Quando vuoi sapere qualcosa di tuo figlio, quando vuoi comprendere il suo stato d’animo e lui continua a non risponderti, voltando lo sguardo altrove e facendo spallucce, tu distrailo, coinvolgilo in un’attività, in un gioco, in un momento di condivisione, e pazientemente aspetta il momento giusto per cogliere ogni suo segnale.
Confidenza non vuol dire per forza “verbalizzazione di un disagio”, di un dolore o di una paura. Con-fidare significa avere reciprocamente fiducia, trovarsi insieme in uno spazio comune di appartenenza e affetto.
Guardare un film, fare una passeggiata, mettersi in gioco, anche con un gioco da tavola (per esempio “Sfida i tuoi”, che attraverso domande e prove di abilità stimola, in chiave ludica, la reciproca conoscenza fra genitori e figli, diventando un punto d’incontro fra il mondo dei ragazzi e quello degli adulti), leggere lo stesso libro e discuterne insieme, lavorare a un puzzle condiviso… sono piccoli esempi pratici di luoghi in cui il con-fidare può divenire azione, abitudine e pratica familiare.