Il primo figlio è più intelligente del secondo o del terzo (o comunque dei suo fratelli, sebbene nati e vissuti nello stesso contesto familiare), lo conferma la scienza e la ragione del primato sta nell’educazione che i genitori impartiscono al primogenito.
La pedagogia moderna ci insegna che l’ambiente ha un peso specifico sullo sviluppo delle competenze del bambino, non conta, dunque, solo la predisposizione genetica: il seme ha bisogno di un buon terreno e della cura di chi ne coltiva la piantina. Peter Kristensen, ricercatore dell’Università di Oslo ha portato a termine uno studio che fornisce una spiegazione psico-scientifica della relazione tra ordine di nascita e intelligenza:
il dato che ci restituisce l’osservazione di un grande campione di primogeniti è quello di una media di QI maggiore di quella dei secondogeniti – mediamente il QI dei primogeniti risulta di 2,3 punti superiore a quello dei fratelli.
Il QI, cosiddetto Quoziente Intellettivo, corrisponde alla misura dell’intelligenza sulla base di un test standardizzato. Ad onor del vero va detto che il parametro del QI non restituisce un valore assoluto dell’intelligenza, che di per sé non è oggettivabile, ma lo scarto registrato come dato preliminare della ricerca di Kristensen resta non trascurabile.
Il primo figlio è più intelligente
Nello specifico, la suddetta ricerca ha campionato 250 mila primogeniti maschi tra i 18 e i 20 anni. Il Setting limitato nel genere non va inteso come discriminatorio, piuttosto il ricercatore ha voluto escludere caratteri genetici o legati all’indole di genere che potessero contaminare il risultato (la psicometria, che è la statistica applicata alla psicologia, ammette l’importanza di campioni settati anche sulla base del genere maschile o femminile).
Perché il primo figlio è più intelligente? Il ricercatore ha dato una risposta a questa domanda: la relazione tra ordine di nascita e intelligenza non sarebbe diretta, nemmeno sarebbe fisiologica o genetica: i primi figli godono di un investimento assai maggiore in punto di tempo, cure e attenzioni da parte dei genitori. Non si tratterebbe, per analogia, di una questione di genere (figlio primogenito o figlia primogenita), ma di una ragione di ambiente, tempo investito nella stimolazione e attenzione profusa.
La ricerca confuta le conclusioni a cui è giunta con una triste ma rilevante prova del nove: la precoce morte del primogenito rende il secondogenito intelligente quanto un figlio nato per primo, ovvero eleva le risultanze medie del suo Qi. Di fatto i figli nati per secondi ma cresciuti in circostanze equiparabili ai primogeniti, il che avviene tristemente quando il primo nato di casa perda precocemente la vita, conseguono un risultato elevato al test del QI esattamente in linea con il più alto quoziente intellettivo dei primogeniti. La spiegazione di questo fenomeno risiederebbe nel fatto che l’attenzione dei genitori si sposta sul figlio superstite.
In casi fortunatamente eccezionali questa risultanza è emersa anche nell’ipotesi di terzogeniti rimati figli unici per la perdita dei fratelli maggiori deceduti.
Maggiore è il numero dei figli più è mediamente ampio il divario educativo tra il primogenito e l’ultimo nato, comunemente lo scarto nel punteggio del QI risulta pari o vicino ai 2,9 punti.
Su cosa deve farci riflettere questa ricerca? il tempo che dedichiamo ai figli è importante, ma è importante anche l’istinto con cui ci muoviamo verso di loro sulla traccia educativa. L’approccio al secondo figlio è sovente contaminato dall’esperienza accumulata col primo e, anche se non ce ne rendiamo conto agiamo influenzati da quel bagaglio. Care mamme e cari papà, abbiate cura del vostro istinto e anche nella relazione con i secondogeniti ascoltate il cuore, evitate i confronti e ritagliate per ogni figlio uno spazio “dedicato”.