A tutela della popolazione scolastica, del corpo docenti e del personale scolastico, la chiusura dei diversi istituti sul territorio nazionale continua ad essere la risposta del Ministero dell’Istruzione e dello Stato all’ “emergenza” pandemica. Ma la chiusura delle scuole (e in modo particolare la didattica a distanza alle elementari) è fortemente impattante sugli equilibri familiari, sull’economia produttiva dell’Italia e, soprattutto, sullo sviluppo psicologico delle giovani generazioni.
Le lezioni in presenza dovrebbero rappresentare una priorità sociale nella fascia d’età 5\6 – 9 anni, ovvero almeno dalla prima alla quarta elementare.
In questo scritto ci sforzeremo di chiarire perché la didattica a distanza alle elementari è un percorso ad ostacoli che può minare la crescita e lo sviluppo psicologico e funzionale dei bambini.
I 10 problemi della attività didattica a distanza nelle prime classi della scuola primaria.
I bimbi più piccoli hanno esigenze speciali, la scuola non è per loro solo il luogo dell’apprendimento meccanico di competenze funzionali alla lettura, alla scrittura e alle abilità matematiche. A scuola i bambini misurano se stessi nella relazione col mondo, danno prova di adattabilità, fanno esercizi di resilienza, imparano a gestire le emozioni negative, come quando resistono alla semplice frustrazione del distacco dalla mamma.
I piccoli studenti delle scuole chiuse, relegati davanti allo schermo del PC da più di un anno, stanno pagando un prezzo molto alto. Questi bambini (e sottolineiamo nuovamente che questo scritto ha ad oggetto la fascia d’età 5\6 – 9 anni), anche a fronte della migliore pianificazione delle lezioni online, hanno perduto:
- la “slow pedagogy”;
- l’ambiente scuola;
- l’accesso a strumenti di apprendimento semplici e intuitivi;
- il contenimento dello sforzo fisico;
- il contenimento del carico cognitivo;
- le gemme della socializzazione;
- l’esercizio alla prima resilienza;
- l’educazione all’organizzazione autonoma;
- il diritto ad un approccio educativo singolare;
- il diritto a una valutazione propositiva, positiva e formativa.
Tutto questo è scientificamente rilevante: è dimostrato, infatti, che i bambini più piccoli hanno bisogno di una pedagogia lenta che sviluppi in un ambiente rassicurante e confortevole (l’ambiente scuola) e che proceda per “sedimenti”, ovvero il bambino che impara ha bisogno di un tempo fatto di concentrazione sull’apprendimento, di metabolizzazione dello stesso, di ripetizione e di riposo del ricordo che così diverrà significativo e si fisserà nella mente.
Il bimbo, quindi, arriva in classe; riconosce il suo posto, che non è solo un luogo fisico; occupa l’ambiente organizzandolo in modo funzionale ai suo bisogni (anche emotivi); mette alla prova la sua concentrazione. Per esempio, mentre la maestra traccia le lettere sulla lavagna, il bimbo ne segue il movimento, si concentra nel riprodurlo per imitazione, coordina occhio-mano-mente aderendo all’insegnamento con tutti i suoi sensi.
Infine ripete insieme ai compagni avvantaggiandosi di quel coro di voci e menti fervide e facendo tutto ciò fissa dentro di sé un’esperienza complessa.
La didattica in presenza assicura la partecipazione del bambino all’apprendimento con tutto se stesso. E’ così che l’apprendimento diventa significativo.
Un bambino tra i 5\6 anni e i 10 anni può realizzare un apprendimento significativo solo nel complesso modo appena esposto, ciò vale soprattutto per l’acquisizione della lettura e della scrittura poichè sono coinvolte competenze cosiddette motorio prassiche.
Cosa sono le competenze motorio prassiche e perchè interessano l’apprendimento della lettura e della scrittura?
Possiamo intendere dette competenze come la capacità di gestire il movimento, qui in particolare quello degli arti superiori, in uno spazio limitato, in maniera organizzata e in modo sincronico con la guida degli occhi e la supervisione della mente.
La didattica in linea impedisce anche alla più abile delle maestre di realizzare un’interazione con l’allievo che riesce a mettere in relazione tutto il corpo del bambino con gli apprendimenti delle nuove conoscenze.
Senza considerare che la pedagogia moderna ci insegna a inquadrare il ruolo del docente come quello di un ponte tra il bambino e le nuove competenze: l’adulto, infatti, deve individuare ciò che il bambino ha già acquisito (le pre-conoscenze possedute) e lo fa specialmente osservando.
Le pre-competenze di un bimbo tra i 5 e i 9 anni emergono spesso dalle reazioni agli stimoli, dal rapporto diretto con i materiali e dall’apprendimento esperienziale.
La maestra deve comprendere fin dove il bambino può spingersi sulla base delle sue pre-competenze e delle sue potenzialità. Nel condurlo agli obiettivi futuri deve lavorare senza un’eccessiva pressione sul suo carico cognitivo, ovvero senza che il bimbo incorra in frustrazione.
Lo schermo di un PC è un limite alla individuazione delle pre-competenze. Basti considerare che la DaD limita lo scambio di feedback non verbali e l’uso di strumentazione di supporto: regoli, abaco, moduli, test, esperimenti, eccetera.
In aula il maestro può fare uso di strumenti di apprendimento semplici e intuitivi (quelli appena citati sono mezzi di apprendimento per esperienza adatti ai bimbi piccoli). Gli strumenti, nella loro materialità, occupando uno spaziose nell’ambente, con la loro tangibilità, danno luogo a quell’apprendimento fisico a cui il bambino non può accedere attraverso la DaD.
Didattica a distanza alle elementari e carico cognitivo.
Assegnare i compiti agli studenti non deve essere la principale attività della DaD e nemmeno i minuti di scuola perduti possono trasformarsi in ore di lavoro a carico dei bambini e dei genitori. I pomeriggi delle famiglie non dovrebbero essere riempiti di ulteriori pesi e responsabilità e gli insegnanti dovrebbero rispettare il ruolo di mamma e papà, riconoscere che non possono supplire ai disagi della didattica a distanza e men che meno dovrebbero trasformarsi in docenti.
Se ciò rappresenta il carico mentale della DaD per le mamme e le famiglie, sui bimbi della scuola elementare grava un carico cognitivo persino maggiore.
Assegnare i compiti agli studenti non deve essere la principale attività della DaD e nemmeno i minuti di scuola perduti possono trasformarsi in ore di lavoro a carico dei bambini e dei genitori.
I pomeriggi delle famiglie non dovrebbero essere riempiti di ulteriori pesi e responsabilità e gli insegnanti dovrebbero rispettare il ruolo di mamma e papà, riconoscere che non possono supplire ai disagi della didattica a distanza e men che meno dovrebbero trasformarsi in docenti.
Se ciò rappresenta il carico mentale della DaD per le mamme e le famiglie, sui bimbi della scuola elementare grava un carico cognitivo persino maggiore.
Molti bambini entrano in ansia davanti allo schermo e le esperienze delle mamme rispetto alla didattica a distanza alle elementari accendono i riflettori su “sintomi” preoccupanti e quasi univoci:
- irritabilità,
- stanchezza,
- distrazione,
- carenza di stimoli.
E’ tutta colpa del carico cognitivo.
Gli occhietti si stancano perché il sistema oculo-visivo non è pronto a processare e sostenere lungamente gli impulsi che arrivano dallo schermo di PC, cellulari e tablet. L’ambiente domestico non sempre è riservato e confortevole come quello scolastico, spesso è carico di distrazioni e interferenze e l’attenzione dei bambini ne risente.
Secondo la Teoria del Carico Cognitivo (Cognitive Load Theory) il cervello dei bambini lavora peggio quando è chiamato a fare fronte a troppi stimoli estranei, estrinseci e non pertinenti. Questo “difetto di stimoli” interessa la didattica a distanza alle elementari e rappresenta un inconveniente diffuso e difficile da estirpare.
- Schermo,
- impulsi visivi innaturali,
- ambiente domestico,
- distanza fisica,
- suono metallico,
- eventuale assenza di uno spazio riservato,
- eventuali difetti di connessione,
- impossibilità di partecipare fisicamente all’apprendimento sono stimoli negativi ricorrenti nella DaD e fortemente limitanti nelle classi delle primarie.
E’ la natura stessa degli strumenti a rappresentare un elemento di distrazione per i bambini piccoli. Così il carico cognitivo diventa gravoso e difficile da gestire, l’ansia si accumula, l’instesse cala e cresce, invece, la frustrazione.
Gli insegnati (e questo consiglio dovrebbe valere oro anche rispetto alle scuole secondarie) dovrebbero concertare i loro sforzi sull’impegno cognitivo utile; i genitori, per parte loro, dovrebbero mettere a disposizione dei bambini ambienti riservati favorendo la concentrazione, in questo senso dovrebbero anche intervenire il meno possibile.
Genitori e insegnanti insieme dovrebbero trasformante i compiti in esperienze, inutile assegnare paginette e a paginette di letterine, realizziamo home made qualcosa che valga a sostituire i materiali scolastici (per esempio una lavagnetta montessoriana utile nella prescrittura, se vi interessa ne abbiamo parlato in una storia Instagram).
Basta didattica a distanza: i bambini hanno diritto a tornare alle lezioni in presenza.
Siamo a Marzo 2021, i cinema e i teatri sono chiusi ma non sono stati stanziati fondi perché le scuole potessero prenderli in affitto; sono stati comperati banchi a rotelle adatti a laboratori di cui le nostre scuole sono prevalentemente sprovviste e non sono state potenziate le reti internet in tutti gli istituti; ancora si parla troppo poco di bolle sociali mentre la scuola in presenza potrebbe avere luogo con classi ridotte a poche unità e arruolando nuovi insegnanti operativi in rinnovati spazi.
Vale la pena sottolineare che aprire e chiudere le scuole è per i più piccoli estremamente destabilizzante e frustrante; in un momento già difficile, l’effetto fisarmonica mina ancora di più la loro stabilità deprivandoli di ogni sicurezza a svantaggio dell’equilibrio emotivo e della fiducia nel futuro.