Anche durante la pandemia continuiamo a comperare e montare mobili del colosso Svedese, non lo sappiamo, ovvero non è chiaro a livello conscio, ma è tutta colpa dell’ effetto Ikea.
Quasi non c’è più una casa che non custodisca una libreria Billy.
Ogni mobile Ikea è frutto di un trasporto speciale di scatole piatte: prima tutte ammassate nell’auto, stipate fin sopra ai sedili posteriori abbassati per guadagnare spazio; poi portate a casa non senza sudore, qualcuna pigiata in ascensore e qualcun’altra caricata a spalla su per le scale.
A tutto ciò si aggiunga qualche ora di fatica seguendo le istruzioni di montaggio e, alla fine, quella frase che continuiamo a ripetere a chiunque: “L’ho montato io!”.
L’ effetto Ikea trova conferma in questo come nei gruppi Facebook dedicati a quest’arredamento made in Svezia e con montaggio Home Made.
Trova riscontro, inoltre, nelle passeggiate delle famiglie nei giganti negozi della multinazionale, come nel piacere incontenibile di provare i divani che non vuoi affatto comperare o nella soddisfazione inspiegabile di portare a casa un altro pezzo da assemblare per riempire l’ultimo angolo vuoto di questa o quella stanza.
Ma cos’è esattamente l’effetto Ikea?
La spiegazione psicologica dell’ effetto Ikea parte dall’uso della manualità come strumento di creazione di beni tangibili e utili. In pratica, i beni che l’Ikea vende danno così tanta soddisfazione ai consumatori perché mettono ogni cliente nella possibilità di “costruire”, o meglio di assemblare, ciò che è suo e che adopererà nel quotidiano.
Un certo filone della pedagogia, peraltro un filone che Vitadamamma ha da sempre fatto proprio, sostiene che i bambini andrebbero istruiti sin da piccoli a cucire, cucinare e costruire beni di uso comune, come per esempio un portapenne in terra cotta, una scatola portaoggetti, eccetera.
Perché? La motivazione risiede nel fatto che tradurre la fatica (intellettuale, ovvero progettuale, e manuale) in risultato è oltremodo educante: dà soddisfazione, dimostra che siamo creature praticamente produttive e che il frutto del nostro impegno intellettuale e fisico è tangibile e utile.
Ecco spiegato l’ effetto Ikea: un adulto dinnanzi a un mobile Ikea è come un bambino che scopre di saper fare e vive la stessa emozione del bimbo che vede la sua energia diventare produttiva.
“L’ho montato io”, dunque, assume un valore maggiore del mobile in se stesso.
Chi ha studiato l’ effetto Ikea conferendo al fenomeno un crisma di scientificità?
La paternità della teorizzazione scientifica dell’ effetto Ikea va attribuita a Dan Ariely, professore di psicologia ed economia comportamentale alla Duke University, nonché firma scientifica del Wall Street Journal, ove cura la rubrica Ask Ariely.
Il professore chiarisce che il successo dei mobili Svedesi sta nella soddisfazione che il consumatore prova quando il pezzo di arredamento è assemblato e a montarlo è stato lui stesso.
Avete presente i bambini con i Lego? Uguale, stesso meccanismo psicologico di soddisfazione\motivazione.
L’ effetto Ikea dipende, dunque, da un mix di emozioni e sensazioni:
- parte dal coinvolgimento fisico e mentale nel montaggio,
- passa attraverso l’energia intellettuale profusa nel seguire le istruzioni,
- incontra la corrispondente energia fisica spesa nella gestione del trasporto e della composizione dei pezzi,
- infine, culmina nel risultato.
Per di più, questo risultato finale non è statico, esso è dinamico e di uso costante, nonché materialmente utile.
Il professore fa esplicito riferimento al senso di titolarità del bene: se costruiamo qualcosa la sentiamo più nostra di qualsiasi altro oggetto comperato già pronto all’uso.
Aver concorso alla creazione finale del mobile lo fa divenire parte di noi più che semplice parte della nostra casa.
L’ effetto Ikea è benefico.
L’ effetto Ikea è qualcosa di positivo: in questo mondo preconfezionato sono veramente poche le circostanze che ci consentono di mettere alla prova le nostre capacità innate. La manualità, che nella costruzione si intreccia con competenze intellettuali di progettazione e organizzazione, è parte del nostro essere umani e poterla mettere alla prova equivale a provare nuove soddisfazioni.