Il Ministro c’ha messo la faccia sul ritorno a scuola, lo ha sempre promesso, se non preteso, identificando la scuola in presenza con un servizio primario dello Stato. Ma riaprire la scuola (di ogni ordine e grado e ovunque) non sarà tanto facile né immediato, senza contare che la scola al tempo del Covid non può essere quella di sempre.
Intanto diversi soggetti istituzionali dicono la loro sulla riapertura delle scuole:
- Conte parla di indirizzo politico di governo sostenendo che la scuola va riaperta “appena possibile” e sottolineando l’importanza dell’interrelazione diretta tra compagni e compagne, nonché tra allievi e docenti.
- Le maestre della scuola primaria fanno leva sul fatto che molte competenze pretendono condizioni favorevoli. Per esempio carpire l’attenzione dei bambini, sostenere un apprendimento di letto-scrittura efficace e relazionarsi ai più piccoli conquistandone l’affidamento sono attività naturali in presenza ma difficili online; rispetto ad esse e per la loro stessa natura, il mezzo informatico risulta di impedimento o quantomeno è limitante.
- I dirigenti scolastici, invece, lamentano che non si può pretendere che la scuola funzioni con un DPCM al giorno, sono necessarie regole stabili e capaci di sostenere il mutare delle esigenze sanitarie senza pretendere interventi compromissori e rivoluzionari a ogni piè sospinto.
- Le famiglie, infine, fanno molta fatica a conciliare esigenze di lavoro e didattica integrata a distanza, non tutti i bambini, non a tutte le eta e non in ogni condizione abitativa, sono autonomi.
Perché non si può tornare a scuola in sicurezza?
I trasporti, la logistica degli istituti, le classi pollaio, la certificazione valida per la riammissione in classe dopo una malattia, la presenza di un unico docente su più sezioni, sono solo pochi esempi di quelli che sembrano restare i grandi problemi irrisolti che ruotano intorno alla riapertura delle scuole.
I bambini devono tornare a scuola, su questo possiamo essere tutti d’accordo, ma il problema sta nel come permetterlo nella massima sicurezza.
A chi antepone a tutto l’aspetto psicopedagogico, sbandierando il bisogno di socialità dei giovani, si contrappone chi ricorda con forza che è in atto una pandemia e che intere classi, sezioni e scuole hanno fatto presto a diventare fuochi di attenzione: basta un professore contagiato a mettere in quarantena intere classi con annesse famiglie costringendo a screening gravosi e ripetuti.
Dovremmo forse incominciare a pensare che voler riaprire la scuola ad ogni costo, per tutti gli ordini e gradi, probabilmente non è una idea facilmente praticabile, quantomeno non in concomitanza col picco influenzale.
Ci sono almeno 10 buone ragioni per cui la scuola non può riaprire ancora, 10 motivi (o potenziali rischi) per cui riaprire ora potrebbe tradursi in un “fallimento fase 2”. Vediamoli da vicino:
- trasporti e ingressi differenziati;
- controllo attivo sul distanziamento sociale tra i giovanissimi;
- classi pollaio;
- moltiplicazione delle classi in quarantena per un unico professore che fa da “punto di contatto”;
- non solo logistica delle aule, ma anche materiali e strumentazione a rischio;
- misurazione della febbre;
- insufficienza dell’aula Covid o aula infermieristica;
- personale insufficiente;
- discriminazione dei soggetti fragili;
- rischio di educare al sospetto e alla distanza emotiva, senza considerare il peso psicologico della privazione del contatto proprio laddove andrebbe, invece, sperimentato.
Riaprire la scuola, i problemi dei trasporti e degli ingressi differenziati, nonché l’esigenza del distanziamento aggravata dall’antica piaga delle classi pollaio.
E’ mancata la messa a punto di un sistema di trasporti e ingressi a scuola capace di evitare in radice il sovraccarico dei mezzi pubblici, gli assembramenti all’esterno delle scuole, nonché l’uso improprio di uscite di sicurezza ora adibite a “ingressi supplementari” utilizzati per decongestionare gli accessi negli istituti.
Possibile che nessuno abbia pensato che il principio del distanziamento vale sempre ed è da presupporre allo svolgimento di ogni singolo servizio pubblico?
All’esterno delle scuole non sono distanziati nè gli studenti nè gli accompagnatori. Allo stesso modo è impossibile gestire nelle aree scolastiche interne un costante controllo attivo sul distanziamento sociale tra i giovanissimi.
La gomma scambiata sottobanco o il pacchetto di fazzolettini, l’abbraccio che scappa al controllo della testa … perché il cuore si lancia oltre l’ostacolo … sono condizioni imprescindibili legare all’età e alla pregressa educazione dei giovani.
Il tutto è aggravato dalle classi pollaio (cioè classi sovraffollate e asfittiche nel rapporto metratura\allievi per aula).
Proprio le classi pollaio, in molte scuole della penisola, hanno determinato, già in prima istanza, la scelta dell’uso della mascherina “h24” per l’impossibilità di garantire il metro dalle rime buccali. L’obbligo della mascherina è stato poi esteso, almeno in teoria, a tutti e in ogni condizione logistico-numerica. Ciò senza contare che i ragazzi e i bambini sono arrivati largamente impreparati all’uso dei dispositivi di sicurezza e prevenzione, col rischio di tollerare male la mascherina e di gestirla peggio.
Un unico professore o maestro, parliamo soprattutto dei docenti occupati in quelle cattedre e discipline che coprono più classi di più sezioni, può diventare vettore di trasmissione del virus su larga scala.
Pensate a un professore di arte che ha mediamente 9 classi (3 sezioni di scuola media), 9 classi di 20 alunni equivalgono a 180 contatti diretti, e la previsione è persino rosea considerato che ci sono aree del Paese con classi molto più numerose.
Per ogni docente, poi, vale il contatto indiretto con gli alunni per mezzo dei materiali: avete mai pensato al fatto che ogni foglio usato in classe, per esempio per un’esercitazione, deve essere messo in quarantena non potendosi liberamente spostare dalle mani dell’alunno a quelle del docente. E il medesimo problema interessa tutti i materiali dei laboratori scolastici nonché l’attrezzatura delle palestre.
Misurazione della febbre e aula Covid – dubbi sulla riapertura della scuola in sicurezza.
L’aula Covid è stata considerata un elemento chiave nella scelta di riaprire le scuole già lo scorso settembre, nello specifico essa è il luogo a cui destinare gli studenti febbricitanti.
La febbre a scuola è oggi un grande problema: si parla di fatto di una febbre che non sempre si misura in loco mancando o gli strumenti o i soggetti responsabili alla misurazione, quindi la febbre resta ipotetica legando l’indirizzo dello studente all’aula Covid a più generici sintomi di un’affezione latamente simile al virus.
In altre parole si rischia di finire in aula infermieristica per un mal di pancia, un mal di testa o una più comune e generale indisposizione.
A norma di legge l’aula Covid dovrebbe essere impiegata per un bambino o ragazzo per volta e santificata dopo ogni uso. Resta il dubbio che in scuole di mille alunni o poco meno una sola aula infermieristica possa non soddisfare (nemmeno lontanamente) l’esigenza di isolare tutti gli studenti contemporaneamente “sintomatici”. Pensate a una qualunque mattina di gennaio o febbraio, quanti bimbi avranno l’influenza?
Si tenga anche conto del fatto che, sin da molto prima del Covid, l’istituzione scolastica denuncia l’insufficienza del personale scolastico deputato alla cura degli ambienti e alla supervisione dei ragazzi.
Riaprire le scuole, un privilegio non per tutti.
Le lezioni in presenza hanno un limite di cui nessuno parla, probabilmente in ragione della sua “marginalità statistica”:
a fronte dell’emergenza Covid, le lezioni in aula rappresentano una importante discriminazione a danno dei soggetti fragili, ovvero i bambini che per ragioni di salute non possono rischiare la compresenza in aula.
Tutta la popolazione di bambini a rischio (pensiamo ai malati oncologici o agli immunodepressi) non può prendere parte alle lezioni in presenza ed è relegato, per disposizione ministeriale, a una DaD che inquadra solo la cattedra, il professore e la lavagna, isolato completamente dal suo stesso gruppo classe.
Prima della Pandemia già sussistevano molte delle criticità illustrate in questo scritto, le norme per tornare a scuola non sono oggi sufficienti a soddisfare le esigenze di sicurezza e stabilità dell’istituzione e della popolazione scolastica, ciò senza considerata che riaprire la scuola per chiuderla di nuovo rappresenterebbe un affronto alla stabilità emotiva dei ragazzi.
Ritornare a scuola in piena pandemia e in pieno picco influenzale potrebbe inoltre esporre al maggiorato rischio di educare bambini e ragazzi al sospetto e alla paura dell’untore che trasformerebbe la distanza di sicurezza in distanza emotiva. La privazione del contatto che chiediamo ai ragazzi a scuola, proprio laddove andrebbe sperimentata la relazione, è già di per sé un trauma. E’ questa un’altra faccia della medaglia che non può essere trascurata.