Quando finisce la didattica a distanza? I ragazzi non ne possono più e nemmeno le mamme!
A quanto pare le scuole sembrano decise a fare didattica a oltranza arrivando con la DaD fino all’ultimo giorno di calendario senza tenere conto dell’eccezionalità della situazione logistica, emotiva e invasiva del nuovo strumento.
Quando finisce la didattica a distanza? Le mamme e i ragazzi se lo chiedono con apprensione.
Se lo chiedono perché fa caldo ed è ancora più difficile stare ore e ore davanti a un computer in appartamenti sempre più affollati e rumorosi.
Da quando le maglie della quarantena si sono allargate in molte case vengono riuniti i cugini perché magari un’unica coppia di nonni tiene con sé tutti i nipoti mentre i genitori lavorano o la sorella casalinga si offre per dare una mano a quella lavoratrice oppure i minori vengono gestiti a turno nell’alveo delle famiglie richiamate alle diverse occupazioni produttive.
A casa, pertanto, gli spazi si riducono, i device aumentano, le connessioni si intasano e i balconi spalancati alla ricerca di un filo d’aria fanno entrare il vociare del mondo che contrasta apertamente con il tentativo della Prof di dare forma di lavagna allo schermo del PC.
Spegnete i microfoni; accendete le telecamere; non ti sento, c’è un fruscio; Prof il cellulare si è surriscaldato; Prof oggi la connessione no va bene.
Quando finisce la didattica a distanza, i ragazzi hanno bisogno della pausa estiva e i genitori anche.
Il computer è come un termosifone che diventa insopportabile quando la temperatura della stanza è già a 28° e al sud dell’Italia è già così da qualche giorno.
La confusione metallica delle voci e le molte ore davanti allo schermo determinano spesso emicranie insostenibili e gli occhietti si fanno stanchi.
I limiti attentivi dei ragazzi sono saturi mentre i professori chiedono di onorare le ultime interrogazioni globali, quelle dove bisognerebbe dare prova di continuità nello studio e nella partecipazione.
Bisognerebbe ricordarsi che questi giovanissimi sono stati chiamati a dare una prova enorme di pazienza, buon senso e tenacia, soprattutto i preadolescenti e gli adolescenti hanno dovuto farsi carico dell’isolamento che in sè va contro la loro natura di esploratori del mondo, dei sentimenti e del corpo.
Questi giovanissimi hanno fatto, e stanno facendo, scuola di vita nel modo peggiore, istruiti dalla paura e dal distanziamento.
Studiare senza la mediazione umana è una violenza, i professori si affannano costantemente a ricordare che la DaD non può sostituire la didattica in presenza, dovrebbero conservare un po’ del loro affannoso fiato per ricordare che il sistema scolastico e il mondo tutto non è stato pensato per veicolare la crescita dei giovani attraverso uno strumento digitale. Ai nostri ragazzi manca l’umanità del conoscere guidati dalla presenza fisica dell’adulto.
Gli studenti sono stati improvvisamente deprivati della guida dei professori, hanno perduto quei punti di riferimento a cui fino a ieri avevamo chiesto loro di affidarsi educandoli alla complicità con la scuola e col sistema scolastico.
Questa deprivazione sentimentale, fisica e carnale (concedetemi qui l’eccesso linguistico che vuole significare intimità) giustifica i ragazzi come un’indulgenza plenaria. Malgrado ciò, che non si dica che non devono studiare! Dovrebbero averlo fatto più di prima, ma certamente non è pensabile che lo facciano nei termini di sempre: spiegazione, assegno, interrogazione non sono oggi sistemi assolutizzabili come nella scuola pre-Covid. Non sono nemmeno sistemi efficaci e, forse, non dovrebbero neanche essere pensabili.
Questa triade (spiegazione, assegno, interrogazione) che ha fondato ancestralmente la didattica in presenza si sgretola dinnanzi alla distanza imposta dal Coronavirus.
Non abbiamo chiuso le scuole per farvi ciucci, ma per farvi salvi!
Se questo è vero ai ragazzi dovremmo rispondere con la fiamma del sapere non con le sue declinazioni più antiche. Questa pandemia sta descrivendo un nuovo modo di vivere, come in ogni rivoluzione la fiamma del cambiamento arriva dal riconoscimento di nuovi ideali. Il nostro compito di adulti dovrebbe essere far sì che i ragazzi non leggano l’antologia come assegnata, pagina per pagina, ma leggano l’Iliade scaricata sul Kindle, piuttosto che i grandi filosofi e Dante direttamente dalle pagine della sua commedia “divina”, come la definì Boccaccio. Questa rivoluzione ci impone di rivisitare il nostro rapporto con la tecnologia dando in parte ragione ai ragazzi e smentendo il vecchio distacco dal mondo digitale in cui spesso, come adulti VS ragazzi, ci siamo ancorati.
Cari Professori e care mamme (peraltro diventate insegnanti in quarantena), lasciate che Dante lo spieghi anche Saviano nelle sue dirette Instagram. Provate a permeare l’informatica considerandola non più un nemico, quanto piuttosti quell’amica eterea e veloce che ci ha salvati tutti tenendoci uniti. Attraverso lo schermo prescindete dalla dottrina teorizzata nel libro di testo e provate a cogliere l’emozione del ragazzo, lui non è lontano dalla scuola ne è solo diversamente parte, sta in un luogo virtuale che si può ancora riempire di ideali e contenuti emotivi.
Ci sono ragazzi che, complice la DAD, hanno scaricato il libri digitali e insegnanti che, al contrario, chiedono ancora la foto su WhatsApp del quaderno scritto a penna.
Quando finirà la didattica a distanza i professori dovranno fare scuola di apprendimento di comunicazione digitale mentre i ragazzi dovranno sperimentare il più possibile nuovi modi di approccio al mondo malgrado il Covid, con distanze, mascherine e presidi igienico-sanitari.
Guardarsi attorno e scrutare quanto la comunicazione dei giovani è naturalmente digitalizzata, parte di una metrica comune tra i nostri figli, elemento di inter-relazione e scambio, oggi questa osservazione non è un mero compito di noi adulti, è quasi un dovere.
La DaD deve imporsi come uno strumento diversamente educativo e deve educare a mezzo di una diversa comunicazione.
Certo sarebbe meglio che tra una lezione e l’altra si lasciasse agli studenti una pausa di almeno 10 minuti, in passato non avremmo mai accettato di lasciare i ragazzini al Pc per tre ore di fila senza urlargli: “Spegni un po’ quel coso che ti rovini gli occhi!!!“
Allo stesso modo sarebbe preferibile dividere le classi in gruppi sostenibili a distanza, lo strumento mediato in classi numerosissime rende difficile la gestione contemporanea di tutti gli studenti.
Egualmente sarebbe preferibile che la strumentazione tecnica fosse a disposizione di tutti i bambini e di tutte le famiglie senza lasciare indietro nessuno, cosa che allo stato non avviene, si stima infatti che 1 minore su 10, in un’età compresa tra gli 8 e gli 11 anni, non segue mai o quasi mai le lezioni a distanza.
Quando finisce la didattica a distanza? La casa ha bisogno di recuperare la sua differenziazione dall’istituzione scuola e tutta la sua privacy.
La scuola è entrata nelle case, le mamme sono diventate maestre, bidelle, presidi esaurendo ogni loro forza e pazienza. Al mattino i genitori fanno suonare la campanella all’incitamento di: “Collegati, è ora!”; al pomeriggio gli stessi genitori diventano maestri e esperti informatici: “Non ho capito se il video è in bacheca o su WhatsApp e si deve solo vedere o anche studiare? Ma pure il riassunto va fatto e inviato via mail oppure no?“, messaggi di questo tipo animano ogni giorno le chat delle mamme.
Malgrado tutti questi cambiamenti di ruolo e di abitudini, la scuola continua a guardare alle madri degli alunni solo come delle mamme, come se nulla fosse intervenuto a scuotere le loro vite, ma non è così la didattica a distanza ha coinvolto la famiglia intera, perciò quest’anno la pausa estiva l’attendono proprio tutti, alunni, famiglie, professori e computer con le ventole impazzite.