Dopo l’Italia, l’Inghilterra, la Francia e la Spagna, paesi europei fortemente colpiti dalla pandemia da Covid-19, anche negli Stati Uniti d’America si inizia a registrare un significativo aumento di casi per il quale si è supposto un possibile legame tra sindrome di Kawasaki e coronavirus.
Sarebbero infatti 85 i casi di bambini attualmente segnalati nello stato di New York, la zona statunitense più colpita dal virus, dove si contano anche 3 decessi, un bambino di 5 anni a New York City, uno di 7 anni nella contea di Westchester e un adolescente nella contea di Suffolk.
Sindrome di Kawasaki e coronavirus: casi in crescita in America.
“Ora abbiamo un nuovo problema emerso nella lotta contro il Covid-19 che è davvero inquietante e ha un impatto sui nostri giovani newyorkesi”.
È quanto dichiarato da Andrew Cuomo, governatore dello stato di New York, nel corso di un briefing tenutosi lo scorso sabato 9 Maggio.
Lo stesso ha reso noto a tutta la cittadinanza che, oltre ad indagare sui succitati decessi e 85 casi – bambini, la maggior parte in età scolare, che al momento del ricovero presentavano sintomi simili a una malattia atipica di Kawasaki o alla sindrome da shock tossico (TSS) probabilmente dovuta al Covid-19 – lo Stato sta sviluppando dei criteri nazionali per tale malattia al fine di aiutare altri ospedali di altri stati a riconoscerne i sintomi e ad intervenire tempestivamente.
Nel contempo, lo stato sta anche lavorando con il NY Genome Center e la Rockefeller University sullo studio di questa malattia al fine di comprendere se vi sia un effettivo legame tra sindrome di Kawasaki e coronavirus o se si tratti di una patologia completamente diversa.
Al momento l’unica certezza è la causa del decesso dei tre bambini: una grave malattia infiammatoria che gli esperti hanno chiamato “Sindrome infiammatoria pediatrica multi-sistemica potenzialmente associata alla malattia da coronavirus (Covid-19) nei bambini”.
Secondo quanto riportato sul sito del governo newyorkese, le caratteristiche ed i sintomi di questa sindrome infiammatoria sono molto simili a quelli della malattia di Kawasaki o della sindrome da shock tossico – da qui anche il nome Kawasaki Like (simil Kawasali) – e possono manifestarsi anche giorni o addirittura settimane dopo la fase acuta del Covid-19 (la maggior parte dei pazienti posti in osservazione è risultata positiva al virus SARS-CoV-2).
Sindrome di Kawasaki e coronavirus: qual è il legame.
Alla luce dei primi dati raccolti atti a verificare una possibile correlazione tra sindrome di Kawasaki e coronavirus, gli esperti non hanno raggiunto un’interpretazione unanime.
Nei vari studi effettuati fino ad ora – in particolar modo quello inglese e quello italiano – i sintomi della malattia di Kawasaki – sindrome molto rara ma curabile, soprattutto se si agisce in modo tempestivo – non hanno mostrato un totale e completo riscontro nei sintomi della nuova sindrome infiammatoria scatenata dal coronavirus.
“Nel lavoro pubblicato dai colleghi inglesi su otto casi solo uno era completamente sovrapponibile alla malattia di Kawasaki e anche il lavoro italiano non ha una completa sovrapposizione. Inoltre le complicanze descritte interessano il muscolo cardiaco, si tratta di miocarditi e non di una dilatazione delle coronarie”.
Spiega Alberto Villani, presidente della Società italiana di Pediatria e responsabile del reparto di Pediatria generale e malattie infettive all’Ospedale Bambin Gesù di Roma, secondo cui il Sars-CoV-2 non può provocare la malattia di Kawasaki in quanto quest’ultima esiste da 50 anni mentre il virus è di recente scoperta.
Anche i sintomi gastrointestinali (vomito e diarrea) riscontrati di frequente tra i pazienti, e non presenti nella malattia di Kawasaki, fanno supporre ad una nuova patologia.
Tuttavia c’è chi, come Lorenzo D’Antiga, direttore del reparto di Pediatria all’ospedale Papa Giovanni XXIIII di Bergamo, ritiene vi possa essere un legame tra sindrome di Kawasaki e coronavirus:
“La malattia di Kawasaki può avere una forma classica o forma incompleta, ma è sempre la stessa sindrome e io sono convinto che siamo di fronte a questa e non a un’altra malattia, ma con alcune caratteristiche in più. Le forme più serie in alcuni casi possono aggravarsi con la dilatazione delle coronarie, in altre con la miocardite, l’infiammazione del muscolo cardiaco”.
Insomma i dati preliminari di cui dispongono attualmente gli esperti sono ancora troppo esigui per poter affermare o escludere con certezza un possibile legame tra sindrome di Kawasaki e coronavirus. Tuttavia gli esperti sono concordi nel dire di evitare allarmismi in quanto, come detto in precedenza, il numero dei casi è limitato e, soprattutto in Italia, hanno avuto esito positivo in quanto la cura esiste e funziona, soprattutto se si interviene in modo tempestivo.