Ci hanno allontanati perché il Coronavirus usa i nostri corpi per ucciderci e per uccidere i nostri simili, lo chiamano distanziamento sociale, ma è un’arma, la sola, di cui tutti noi disponiamo contro il virus. Il resto spetta alla scienza e alla medicina.
Un insegnamento può essere tratto da ogni cosa, ma come sarà il mondo dopo il Coronavirus?
Ora il mondo respira, lo fa mentre noi, piccoli invasori, ci stiamo rintanando e guardiamo l’universo combattere da dietro i vetri delle nostre case.
I canali di Venezia, improvvisamente epurati dall’inquinamento di motoscafi e vaporetti, sono tornati limpidi. Le case e le gondole imprimono i loro profili colorati su specchi d’acqua nitida lambita dalla luce fredda di Marzo, sul fondale si vedono persino i pesci. E’ l’immagine del cosmo che si rigenera mentre la morte spaventa e perseguita gli essere umani.
Lo smog è calato, l’aria profuma di aria e l’uomo cammina solo per necessità, le auto sono ferme, la produzione rallenta, l’asfalto non è battuto da passi frenetici e il silenzio lascia spazio alla voce degli uccelli e al brusio delle foglie scomposte dal vento.
Stiamo assistendo al respiro dell’universo che partecipa al nostro dolore dimostrandoci che la natura si rigenera e ci attende.
Insegnate ai bambini ad ascoltarne le voci, a guardarne i colori, a percepirne i cambiamenti, perché la natura non ci respinge, non ci rifiuta, ma ci suggerisce che esistono altre possibilità di vita.
Come sarà il mondo dopo il Coronavirus?
Sarà un mondo diverso e nessuno sarà uguale a prima, usciremo da questa reclusione dopo essere stati distesi sulla linea di un tempo dilatato in bilico tra un ieri, impossibile oggi, e un domani imprevedibile, come lo è questa condizione solitaria e dolorosa.
Abbiamo visto la morte nella sua veste peggiore, non è occasionale, unica o isolata, come eravamo abituati ad affrontarla, è un corteo di bare che non hanno potuto ricevere saluto, è continua, incessante, violenta e dolorosa, è persino solitaria. E le lacrime non bastano.
Il mondo all’indomani di tutto questo sarà dei sopravvissuti e i bambini di adesso saranno inevitabilmente segnati da ciascuno di questi giorni. Il nostro compito non è isolarli dal dolore, piuttosto è far sì che il tempo del dolore partorisca emozioni profonde, istinti buoni, ri-costruzioni solidali e coesione.
Non muore un italiano, muore l’italiano, il concittadino, il padre, la madre, il nonno o la nonna, muore un pezzo di questo mondo che si sta dilatando e sta respirando, mentre noi, rintanati nella nostra solitudine, dobbiamo riflettere su ciò che non vorremmo tornasse più come prima.