La violenza domestica in quarantena non si ferma, essa è la manifestazione peggiore dell’ira del mostro, ma questa volta il mostro non è il Covid, è, piuttosto, l’uomo, il compagno o il marito.
La violenza domestica è il pericolo più insidioso che si può muovere contro la donna in quarantena, muove dall’interno della casa, ovvero da quello che dovrebbe essere il luogo più sicuro oggi.
Ad oggi, aprile 2020, dall’otto marzo scorso le chiamate arrivate al numero antiviolenza, sempre attivo, che è l’1522, sono diminuite del 55 per cento. Questa diminuzione dipende dalla difficoltà della donna-vittima di chiedere aiuto, alcune donne si chiudono in bagno e cercano di coprire il rumore della telefonata, quindi della loro stessa voce, con quello dell’acqua o della doccia. Ciò lascia intendere come possa essere difficile per una donna violata nascondersi in casa propria.
L’isolamento aumenta i rischi di violenza domestica in quarantena: la situazione che stiamo vivendo espone la donna a maggiori pericoli perchè ella è bloccata in casa col “mostro”.
Ricordare qualche vittima, ci servirà a concretizzare l’idea che ci sono donne in pericolo e la loro incolumità è una responsabilità dello Stato rispetto alla quale la sola messa a disposizione dell’1522 può essere insufficiente:
Fortuna Belisario, una mamma di tre bambini 7, 10 e 11 anni, che viveva a Miano (periferia Nord di Napoli) è stata massacrata con una stampella appediabiti sotto gli occhi impotenti di sua madre. A toglierle la vita è stato il marito, che dopo averla uccisa, con una lucidità brutale ha chiamato le forze dell’ordine per farsi arrestare.
Alessandra Immacolata Musarra aveva solo ventitré anni ed è morta, uccisa dall’uomo della sua vita, massacrata a calci e pugni. Una violenza inaudita quella del suo compagno, che ha confessato l’omicidio a mani nude.
Nicoletta Indelicato, di solo 25 anni, accoltellata da Carmelo B. con la complicità di un’altra donna.
È riuscita a sopravvivere Antonietta Gargiulo a cui il marito ha sottratto le due figlie uccidendole prima di togliersi la vita a sua volta. La lista di donne vittime vittime di femminicidio, come abbiamo visto troppo spesso, occupa la cronaca per i suoi continui aggiornamenti.
La violenza domestica in quarantena, complice lo stress che dipende dall’isolamento e l’incertezza che il Paese vive, non può non preoccupare le istituzioni.
Per le donne vittime di violenza non dovrebbe esistere l’impossibilità ad uscire dal giogo dell’uomo mostro, non dovrebbe esistere una parola terribile come “femminicidio” per ricordarci che queste donne possono morire a causa degli uomini.
I centri anti-violenza continuano a lavorare e cercano sistemi alternativi al numero 1522
Le associazioni anti violenza hanno, in questo frangente emergenziale, alcuni bisogni specifici:
- servono luoghi protetti ove collocare le donne che meritano assistenza adesso, servono case dove possano compiere la quarantena prima di fare il loro ingresso nei centri che già ospitano altre donne e mamme, spesso insieme ai loro figli. Ci sono associazioni che hanno preso in fitto delle casa a questo scopo e ci sono enti religiosi che hanno prestato ospitatlità.
- Alcuni centri continuano ad essere fisicamente operativi sui territori per le emergenze e per gli appuntamenti già fissati, ma la necessità di certificare gli spostamenti può porre la donna in pericolo o comunque può rappresentare un limite alla sua privacy.
Immaginate un piccolissimo paese dove l’agente di polizia municipale può (con una buona probabilità) essere parente o amico dell’uomo mostro da cui la donna tenta di fuggire.
- Una donna violata è fortemente controllata dal mostro da cui prova a scappare, è assai difficile che nella ristrettezza della sua casa possa trovare un luogo sicuro da cui telefonare all’1522 e chiedere aiuto.
- Le associazioni anti-violenza hanno bisogno di presidi di protezione: guanti, mascherine in primis.
Contro la violenza ogni donna-madre di un figlio maschio può fare qualcosa:
Tutte noi possiamo insegnare ai vostri figli la gentilezza, educandoli alla gestione e alla razionalizzazione di tutti i tipi di sentimenti anche quelli negativi, dimostrando loro che rabbia e frustrazione non possono mai trovare nè sfogo nè conforto nell’aggressione e nella sopraffazione fisica dell’altro. Insegniamo inoltre alle nostre figlie l’amore per se stesse e la consapevolezza che il primo bene inviolabile è il rispetto della propria identità.
Insegniamo tutto questo con l’esempio.