Molte famiglie puntano al risultato scolastico dei figli e tendono a isolare l’ educazione morale e sociale dalla “resa scolastica”, nel farlo non considerano la scuola come un’agenzia formativa in cui il bambino viene educato a divenire essere sociale e contemporaneamente apprende.
I bambini hanno bisogno di un’ educazione morale che è educazione ai valori e che, prima ancora, è educazione alla libertà.
La scuola è (o meglio dovrebbe essere) centrale in questo processo educativo. Purtroppo essa è, sempre più spesso, “voto-centrica”, cioè finalizzata alla pagella più che alla formazione valoriale del ragazzo. Questa caratteristica istituzionale della scuola la appiattisce alla semplificazione che ne fanno i genitori:
Vai a scuola per imparare a leggere, a scrivere e a fare di conto.
In realtà la scuola dovrebbe servire da ponte tra la famiglia e la società e dovrebbe costruire un bagaglio di competenze, offrire una educazione ai valori, ispirare a filosofie di vita capaci di cambiare l’agire umano e, quindi, il futuro del mondo. Il voto dovrebbe essere un concetto secondario, successivo al processo di educazione morale e sociale.
I bambini hanno bisogno di un’ educazione morale prima che di un’educazione dottrinaria e per competenze.
Helen Parkhurst fu l’allieva americana di Maria Montessori, conobbe la sua maestra e ispiratrice nel 1914, quando da New York partì alla volta dell’Italia per un viaggio-studio. Tornata in patria si impegnò ad applicare quanto aveva imparato dalla dottoressa e pedagogista Montessori, fu con quest’impronta che nacque il Piano Dalton, cioè un metodo di studio ispirato all’individualizzazione dell’insegnamento.
Nella mia lunga esperienza di scrittura, ho spesso legato Vita da Mamma ad una posizione dubbiosa rispetto alla scuola del voto e del giudizio numerico: i voti, numericamente espressi come “catalogo” di un percorso, imprigionano i bambini.
I bambini non sono numeri! Ma allo stesso modo l’insegnamento non dovrebbe essere posto come un oggetto, un meccanismo automatico a cui adattare pedissequamente ogni scolaro.
Il Piano Dalton nacque grazie a una sperimentazione (post influsso montessoriano) della Parkhurst, detta sperimentazione si tenne presso l’università di New York e espresseun nuovo approccio alle competenze e allo studio fondato sul concetto di libertà (in questo senso evoca prima un’ educazione morale e poi un’educazione dottrinale). Se l’influsso montessoriano ebbe la sua parte, grande valore ha avuto l’adesione di questa pedagoga al concetto di scuola nuova già teorizzato in America.
Siamo negli anni prossimi al secondo conflitto mondiale e la scuola comincia ad affermarsi come luogo in cui i cittadini del domani devono affinare i loro talenti per divenire esseri sociali, cittadini con competenze e ideali al passo con i tempi e orientati a un futuro migliore. La storia dovrebbe produrre progresso, eppure la scuola di oggi ha ancora bisogno di conquistare queste mete. Ancora non abbiamo fattivamente raggiunto queste ambizioni, ancora ci lamentiamo di non godere di una scuola capace di riconoscere ed esaltare le individualità.
Educazione morale, responsabilità e libertà.
Helen Parkhurst partiva da un dato scientificamente comprovato e avvalorato, ma tutt’oggi ancora trascurato:
in natura nulla è uguale a se stesso, sono diversi tra loro due cervelli così come due bambini e già solo questo non può che suggerire l’esigenza di “personalizzare i piani educativi”.
In gergo pedagogico si parla di curricolo, noi possiamo parlare più esemplificativamente di programma: la scuola (una scuola che vuole responsabilizzare i bambini e fare di loro menti pensanti, orientate all’amore per la conoscenza) dovrebbe rendere gli insegnamenti individuali, cioè ogni bambino dovrebbe essere il fulcro di un programma pensato per le sue stesse specialità. Modellando i programmi sui ragazzi, scrutando, cioè, gli interessi e gli orientamenti di ciascuna anima, gli studenti diventano parte attiva del processo educativo e maturano la responsabilità.
La responsabilità è la prima tappa di una educazione morale.
Non avrebbe, quindi, senso un programma unico e uguale per tutti.
I bambini di Helen Parkhurst vivono una suola che è come una casa:
- non ha banchi né classiche aule, neanche insegnanti che si rapportano alla classe frontalmente e con la penna rossa;
- i bimbi di questa pedagogista stringono un patto con il maestro per il raggiungimento di un obiettivo concordato;
- il maestro li guida verso il raggiungimento di certe competenze ma non li obbliga seguire uno schema di lezioni collettive e imposizioni standardizzate;
- i ragazzi hanno delle spiegazioni e delle schede di auto-lavoro e auto-valutazione, nel tempo della scuola possono gestire i loro spazi e la loro “clessidra” stabilendo in che fascia oraria fare un lavoro piuttosto che un altro, conta, però, che alla fine della giornata il complesso dei lavori di ogni alunno sia stato eseguito.
Volendo tradurre l’educazione morale in un esigenza tangibile e comune: al bambino vanno trasmesse più classi di nozioni sintetizzabili in quelle che genericamente possiamo definire sociali, ovvero l’educazione che serve per la vita civile, e quelle volte a stimolare interessi personali e peculiari relazionate all’attitudine del bambino, ovvero quelle che faranno di lui un soldato, un dottore, un attore o un cuoco.
Il patto formativo, cioè il contratto tra maestro e allievo è il primo esempio di educazione morale e civile. Ogni insegnante dovrebbe “scendere a patti col bambino” in una relazione che spogli i nostri figli del “vestito bello o brutto” del voto.
In quest’ottica di accordo cooperativo, volto a rendere al fanciullo un obiettivo che non sia solo aleatorio, il bambino o il ragazzine è parte attiva e operante della scuola.
I bambini della scuola di Helen Parkhurst sono chiamati a fare ricerca, a selezionare le materie e gli argomenti di loro interesse, a investigare i saperi ma anche le proprie personali aspettative.
Il lavoro individuale del bambino si svolge a scuola, soprattutto attraverso attività fattive (di laboratorio, in un’ottica di apprendimento fattivo), sono aboliti i compiti a casa, mentre quelli svolti nell’arco dell’orario scolastico vengono corretti dal maestro e rappresentano la cartina di tornasole del percorso di autocritica del ragazzo.
Ebbene, è questo un metodo educativo capace di valorizzare l’identità, le aspirazioni personali, l’intelligenza del singolo. E non è un metodo che isola i ragazzi perché li mette in relazione tra loro in laboratori e attività di studio di gruppo, ma, di contro, non li divide per età anagrafica quanto piuttosto, per aspirazioni e competenze; soprattutto è questo il metodo della responsabilità e della libertà (fondanti elementi di una sana educazione morale).
Come per il metodo montessoriano e come quello delle scuole nuove, a cui peraltro si allinea, anche quello di Helen Parkhurst (sebbene in misura inferore) ha informato di sè diversi progetti scolastici. Di tutto ciò deve rimanere a noi l’esempio della libertà e il monito alla fiducia nel valore del fanciullo.
E’ di evidenza che la scuola moderna tradisce alcuni principi di grande valore ideale. Stimolati anche dallo studio e dalla sperimentazione di Helen Parkhurst, noi genitori dovremmo tornare a riflettere sul più grande valore della scuola e sulla massima importanza della formazione dei figli, anche in termini di educazione morale, educazione all’autonomia, alla responsabilità e alla libertà intellettuale.