Una volta si entrava in silenzio nelle biblioteche per andare alla ricerca di un “nuovo orizzonte”, oggi sono cambiati gli strumenti ma non gli scopi: si naviga in silenzio in rete e tra i tanti livelli della comunicazione, chi sa farlo, scopre “orizzonti inaspettati”. Proprio durante una delle mie navigazioni in rete ho trovato un racconto carico di significati: “Il bambino che ce la può fare” (la pubblicazione, su curiosandosimpara, è presentata come la rivisitazione di un racconto di Eloy Moreno Olaria). Posto l’indiscusso valore educativo delle favole, questa andrebbe raccontata ai bambini come propulsore alla loro autostima, alla fiducia in se stessi e alla loro autonoma capacità di risolvere i problemi. In una massima sintesi, questa breve favola dimostra che la scarsa fiducia in se stessi dei bambini è causata dagli adulti.
Uno dei limiti generazionali dei nostri figli è la scarsa fiducia in se stessi.
La pedagogia moderna ci insegna che il bambino è di per sé portatore di un potenziale, attivo e positivo, che va implementato sin dalla prima infanzia, Maria Montessori (per fare un nome illustre) lamentava il fatto che l’adulto che voglia sostituirsi al bambino rappresenta il più grande limite alla manifestazione e alla crescita di questo potenziale.
Il bambino dice all’adulto: “Aiutami a fare da solo“, l’adulto non riesce sempre ad accogliere questa richiesta perché non riconosce il potenziale del bimbo.
Ebbene la favola che stiamo per proporvi (così come pubblicata dalla fonte web) offre esattamente questo vantaggio:
svela come la scarsa fiducia in se stessi che i bambini spesso hanno (ovvero di cui i bambini spesso soffrono) dipenda da una limitante visione che l’adulto ha del bimbo.
I nostri figli sono più autonomi, grandi e capaci di quanto noi stessi non vogliamo credere. Ma potrebbero essere ancora più grandi autonomi e capaci se li accompagnassimo verso l’indipendenza emotiva e materiale.
“Il bambino che ce la può fare”
Due bambini stavano pattinando da diverse ore su un lago ghiacciato, quando, improvvisamente, il ghiaccio si ruppe e uno di loro cadde in acqua. La corrente lo trasportò per alcuni metri sotto la superficie ghiacciata e, per salvarlo, l’unica opzione era quella di rompere lo strato di ghiaccio che lo ricopriva.
Il suo amico cominciò a gridare per chiedere aiuto, però nessuno si avvicinò per dargli una mano, così cercò una pietra e cominciò a colpire il ghiaccio con tutte le sue forze. Colpì, colpì e colpì ancora, fino a che riuscì ad aprire una crepa nella quale infilò un braccio per afferrare il proprio amico e salvarlo.
Dopo pochi minuti arrivarono i pompieri che erano stati avvisati dalle persone che avevano sentito le grida.
Quando raccontarono loro l’accaduto, non riuscivano a smettere di chiedersi come quel bambino così piccolo fosse riuscito a rompere uno strato di ghiaccio tanto spesso.
– È impossibile che ci sia riuscito con quelle braccia, è impossibile, non ha abbastanza forza, come ci è riuscito? – commentavano tra loro. Un anziano che si trovava nei dintorni, nel sentire la conversazione , si avvicinò ai pompieri.
– Io so come ha fatto! – disse.
– Come? – risposero sorpresi.
– Non c’era nessuno intorno che gli dicesse che non poteva farlo -, affermò l’anziano.
Vista dagli occhi dell’anziano, quindi, la scarsa fiducia in se stessi che attanaglia i bambini è figlia di un’educazione emotivamente limitante impartita al bambino.
Pertanto, se vuoi che tuo figlio cresca con la forza di spaccare il ghiaccio pur di salvare l’amico, non dirgli più: “Ti aiuto, tu non puoi farcela“, digli: “Provaci da solo, puoi riuscirci!“