La società postmoderna si è arricchita di molte complessità, e quella in cui siamo immersi, in modo particolare, è una società variegata dove concetti come famiglia, amore, genitorialità, procreazione ma anche lavoro, occupazione e reddito sono completamente informati da bisogni e condizioni del tutto nuove, una volta o inaccettabili o impensabili.
Questo rinnovamento della vita sociale, umana, personale e familiare dipende da una grande pluralità di elementi e le innovazioni etiche e di costume si accrescono grazie a quelle mediche e tecnologiche:
una coppia sterile, per esempio, può avere dei figli attraverso la PMA; una mamma sola può avere un bambino e, con un diverso strumento, anche un uomo single può diventare un padre prendendo un utero in affitto; allo stesso modo possono diventare madri e padri coppie formate da persone dello stesso sesso; si può abortire “solo” ingoiando una pillola o si possono mappare i geni dei genitori per escludere o prevenire malattie eventualmente scritte nel DNA.
Il mondo sta cambiando e un feto di plastica non può fermare questo cambiamento, mentre quello che può fare è certamente ferire, mortificare e offendere.
Cosa ha a a che fare un feto di plastica col mondo che cambia e la rinnovata idea sociale di vita, famiglia e genitorialità?
Tra i gadget del Congresso mondiale delle Famiglie, ha fatto scalpore un feto di plastica, rappresentazione forte e emblematica di un embrione di dieci settimane.
Il feto, distribuito durante il congresso di Verona, era confezionato in una bustina trasparente e accompagnato da un cartellino con la scritta: “L’aborto ferma un cuore che batte!“
Questo gadget porta il nome di uno degli sponsor del congresso: ‘notizieprovita’.
Il feto di plastica impersona un embrione, qualcuno (anche io per personale impostazione e fede etica) potrebbe dire che impersona un bambino. Subito si capisce, però, l’enorme portato simbolico del gadget, capace di mettere gli uni contro gli altri i cosiddetti pro-vita e i difensori del diritto legale all’aborto.
Io sono contrari all’aborto, ma ne difendo il diritto legale. In una società civile e sana, rispettosa e coerente un simile gadget è un insulto a ogni donna morta di aborto clandestino oltre che alla libertà di disposizione del proprio corpo e della propria vita, libertà su cui il nostro ordinamento, etico e legale, si fonda e si afferma come sistema laico e garantista, egualitario e accogliente. Senza parlare della moltitudine di danni alla salute provocati da aborti illegali.
Vero è che l’aborto consta nel togliere via il bambino dalla pancia della mamma impedendogli di venire alla vita,
vero è che questo di feto di plastica somiglia a un bimbo di 10 settimane,
ma è altrettanto vero che le ragioni dell’interruzione di gravidanza possono essere così tante e così profondamente incidenti sulla donna da non essere sintetizzabili in un Sì o in un No e, quindi, da non ammettere simulacri in silicone.
Il mondo non potrà mai cambiare in meglio sin tanto che l’uomo non impari a prescindere dalla sua personale considerazione degli avvenimenti, tanto più quelli che non lo investono direttamente.
Giudicare l’aborto altrui è come pretendere di entrare nel cuore dell’altro e leggerlo come se fosse un libro, in una sola parola è impossibile.
Le migliori battaglie che si possano compiere ancora oggi, nel 2019, sono la battaglia per le gravidanze consapevoli, quella per l’uso corretto della contraccezione, quella per limitare la violenza sulle donne e quella per una corretta educazione sessuale sin dalla pre-adolescenza.
Una persona a me cara ha abortito, non me lo ha mai detto apertamente ma ha lasciato che lo scoprissi; oggi credo che se non lo avesse fatto sarei un po’ meno sola. Non condivido la sua scelta, ma la perdono perché “il suo cuore è suo” e io non posso leggere il libro dei suoi sentimenti.
Il feto di plastica non è la soluzione all’aborto volontario, non migliora la consapevolezza delle donne rispetto alla gravidanza, non fa campagna di informazione contraccettiva.
Quel pupazzo è solo violenza e dolore visivo: è l’immagine di una vita negata senza tenere conto della scia di dolore che un aborto può lasciare, e spesso lascia, nella donna che lo pratica e in chi le orbita accanto.
In questo senso va condivisa la posizione di chi vede in questo feto di gomma l’indignitoso simulacro di un principio etico che così raffigurato rischia persino di essere sminuito.
L’aborto legale è legge italiana solo da 40anni a questa parte, introdotto con la norma 194 del 1978
Questa legge ha salvato vite umane. Qualcuno dirà che ha sterminato bambini ma non resta trascurabile l’altra faccia della medaglia, ovvero le morti per aborti clandestini e il connesso mercimonio fatto a discapito della salute delle donne.
Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato. Gli articoli dedicati a detto delitto (articoli 545 e seguenti del codice penale) sono stati abrogati con l’entrata in vigore della legge del 1978.
L’aborto non è ancora legale e regolamentato ovunque nel mondo. Posto che le limitazioni di legge imposte all’aborto fanno sempre parte dei sistemi civili (come quello italiano) e sono strumentali alla tutela della salute donna, proviamo ad esaminare qualche numero relativo alle IVG illegali:
- si stima che circa 20 milioni di aborti non sicuri vengano eseguiti ogni anno e il 97% di essi si verifica nei paesi in via di sviluppo.
- Le stime della mortalità variano secondo la metodologia e variano da 37.000 a 70.000 negli ultimi dieci anni. Le morti dovute ad aborti non sicuri rappresentano circa il 13% di tutte le morti materne.
Il feto di plastica tiene conto dei presidi di sicurezza della saluta della donna? Certamente no, non può farlo se boccia in radice l’aborto legale. Eliminare l’interruzione di gravidanza sicura e legale equivale indiscutibilmente a restituire spazio al mercimonio della salute e alle pratiche illegali di aborti clandestini.
“Persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che sia disponibile, per tutte le donne, ricorrere ad aborti legali e sicuri”. (https://it.wikipedia.org/wiki/Aborto)
Sepsi, emorragie, danni agli organi interni, procurata sterilità e morte sono alcune delle più ricorrenti conseguenze dell’aborto illegale. Un paese civile non può non pensare anche a questo, non può esimersi da un pensiero a largo raggio neanche quando ci si trova davanti ha un feto di gomma, presentato al mondo come il forte simulacro di un’atra vita.