Prima che nascesse mio figlio John, due medici hanno sottolineato che dopo aver trovato la giusta posizione per la nascita, a testa in giù, il bebè aveva aspettato lì per tre mesi, rimanendo in quella posizione come se sapesse che fuori c’era qualcosa.
Tutto questo è molto simile alla nostra esperienza di fede e di convinzione nell’esistenza del Paradiso.
-Beati quelli che pur non avendo visto crederanno – ha detto Gesù.
Un bambino nel grembo non conosce nulla del mondo esterno, non può nemmeno immaginarlo, eppure si mette in posizioni pronto a nascere.
E’ guidato dall’istinto e dall’amore, ha una “grande fiducia nel fatto che oltre a quello che conosce ci sia qualcosa“.
Le parole riportate in corsivo appartengono alla penna di Annabelle Moseley, scrittrice e docente di Letteratura e Religione, esse sono il modo in cui l’autrice introduce il tema della nascita e del momento del travaglio arrivando a parlarne come dell’esperienza femminile più prossima alla grazia di Dio.
Durante il parto e il precedente momento del travaglio la donna “E'”, ella è essenza della vita, generatrice, forza e grazia. In una sola parola la donna che partorisce (in qualunque modo o circostanza lo faccia) è divina!
In una visione laica della maternità, si dice che la donna è natura e terra: dalla donna germoglia il figlio perché biologicamente l’essere femminile è stato creato per assicurare continuità alla specie. Eppure, qualunque lettura si voglia dare alla nascita (religiosa o laica), essa finisce pur sempre col rappresentare un atto di fiducia verso la vita:
da un lato c’è una donna pronta ad affrontare ogni trasformazione del suo corpo e ogni “sofferenza”, dall’altro c’è un bambino che pur non essendo ancora conscio del mondo va incontro alla vita.
In una visione religiosa, la donna incontra Dio nella gestazione perché diventa parte della sua grazia, viene benedetta dal dono della vita che si trasmette, si crea e fiorisce nel suo grembo.
In una visione laica della magnificenza della nascita, invece, nel momento del travaglio e del parto la donna è terra che dal suo ventre genera il futuro, è ciclo naturale, è biologia dinamica e creativa.
Da qualunque angolazione si guardi il momento del travaglio e quello della nascita intercettano il disegno (divino o chimico-fisico) della creazione del mondo.
E qui noi, donne e mamme, siamo l’anello di congiunzione tra l’essere ora e in questo tempo (cioè l’essere persone fisiche singole) e il divenire ciò che sarà (cioè essere persone fisiche capaci di generare donando al mondo altri individui, e quindi altro futuro).
La magia della nascita sta nel fatto che presente e futuro si incontrano in un rapporto che si basa solo su amore e istinto, cioè un rapporto non utilitaristico né materiale:
la mamma poggia la mano sul pancione e il bebè scalcia, la mamma sussurra una parola e il figlio si muove.
Il “feto” (lo appelliamo feto per enfatizzare il fatto che il bebè è ancora dentro la mamma e non nel mondo fisico) risponde agli stimoli materni – come carezze alla pancia o voci provenienti dall’esterno della pancia.
Le risposte del feto – come movimenti, calcetti e piccoli pugni – arrivano dall’interno del grembo, cioè da quel luogo “chiuso e protetto” dove il mondo esterno, la conoscenza, il contatto occhio – occhio non esistono.
Su quali basi il piccolo risponde agli impulsi esterni? E’ stimolato dall’istinto dell’amore e risponde per un moto del cuore. Anche nel momento del travaglio e del parto il bimbo è chiamato a rispondere a degli stimoli e anche lì a guidarlo sono istinto e amore.
Nanabelle diceva sempre: – Non sei mai più vicina a Dio di quando partorisci. Prega per le altre persone bisognose, perché non sarai mai più vicina a Dio in questa vita di quando sei in travaglio.
La stessa scrittrice Annabelle Moseley rende pubblico questo ricordo in un articolo dedicato a sua nonna.
Ciò che rappresentano queste parole è coinvolgente per qualunque donna: nel momento del travaglio e del parto siamo sopraffatte da molti sentimenti difficili da gestire, come ansia per l’esito della nascita, paura dell’imprevedibile, necessità di controllare il dolore e gestire un respiro che si fa affannoso e che le contrazioni rompono, speranza e a volte terrore, eppure ogni momento della nascita di un figlio è un privilegio perché testimonia la nostra fede nella vita, la nostra forza come generatrici e il nostro essere fondatrici del mondo, ciascuna a suo modo, col suo parto, con la sua storia, con la sua famiglia e col suo coraggio di non voltare le spalle al futuro.
E’ questa la forza generatrice che in senso religioso avvicina la mamma a Dio, mentre in senso laico l’accosta alla natura. Di questa forza vitale dobbiamo ricordarci e nutrirci in ogni giorno di difficoltà perché da essa possiamo attingere come da una sorgente di vita che sta dentro noi stesse, nel nostro cuore.