Nel corpo piccolo e immaturo di una bambina di 11 anni “il vecchio”, come lo chiama Lei stessa, ha messo un bambino, la mamma-bimba e sua madre lo hanno scoperto a 16 settimane di gravidanza, quando, per il ripetersi insistente di malori, la mamma dell’11enne ha chiesto un consulto ospedaliero.
E’ stato allora, dinanzi alla prova certa di una gravidanza in corso, che è emerso tutto l’orrore delle violenze subite da questa bimba: il compagno 65enne della nonna ha abusato della piccola ingravidandola.
La bimba e le sue sorelle, peraltro, erano state sottratte alle cure materne e affidate alla nonna proprio per una pregressa storia di violenze e maltrattamenti, allora perpetrati dal compagno della mamma sulle figlie maggiori della stessa.
La vicenda dell’ 11enne incinta è assurta alla cronaca internazionale perché la bambina è stata costretta a partorire con un TC (taglio cesareo) pretermine. E il termine “costretta” è qui stringente, se non letterale.
11enne incinta dopo una violenza, le viene negato l’aborto – costretta partorire a 23 settimane con taglio cesareo
Il dramma di questa mamma-bambina, violata e lasciata gravida, è accaduto in Argentina, paese in cui l’aborto è in via di principio illegale, fatta eccezione che per un caso:
secondo al sistema giuridico argentino la donna ha diritto all’interruzione volontariamente della gravidanza dopo aver subito una violenza. Questa eccezione, che nel caso dell’ 11enne incinta non è stata rispettata, discenderebbe dalle disposizioni della Corte Suprema pronunciate nell’anno 2012.
In quell’occasione – precisa la stampa argentina – i giudici hanno sollecitato le province ad adattare i loro protocolli di cura alle donne incinte che non vogliono essere madri, e nei limiti delle seguenti circostanze:
- quando la loro vita o condizione di salute sia a rischio,
- quando la gravidanza è causata da un abuso.
La mamma-bambina avrebbe chiesto personalmente e volontariamente di “toglierle dal corpo ciò che il vecchio le aveva messo dentro” e alcune fonti stampa riportano persino un tentativo di suicidio dell’11enne, proprio nell’imminenza di quello che è stato un parto imposto.
Si è registrata una vera mobilitazione internazionale per far luce sulla verità dietro la nascita del figlio dell’ 11enne incinta a seguito di una violenza:
il parto è avvenuto a 23 settimane di gestazione e, secondo alcune associazioni a difesa dei diritti dell’uomo e delle donne, potrebbe avere avuto luogo senza il consenso della famiglia, ma su istanza del giudice e con lo scopo dichiarato di “salvare due vite”: quella della piccola madre, in primis vittima di violenza, e quella del frutto di questo orrore.
Amnistía Internacional repudia la violencia institucional ejercida por el Sistema Provincial de Salud (SIPROSA) de la Provincia de Tucumán. La demora injustificada de acceso a la ILE vulneró el derecho de la niña a su salud, autonomía, privacidad e intimidad, revictimizándola. pic.twitter.com/v98v6V9wbw
— Amnistía Internacional Argentina (@amnistiaar) 27 febbraio 2019
Sta di fatto che un 11enne incinta non è riuscita ad abortire malgrado un’esplicita, diretta e formalizzata denuncia di abuso. Sta di fatto che una gravidanza così precoce è un rischio fisico ed emotivo. Sta di fatto che una bimba ha generato un bimbo senza che il suo corpo e il suo cuore lo volessero.