Bella, anzi bellissima, piena di amici e impegnata nel sociale. Questa era Alli MacDonnell, la top model morta suicida nel suo appartamento a soli 37 anni. L’Irlanda intera è sotto shock e piange la sua perdita.
Di lei resta solo un ultimo incomprensibile post sulla sua bacheca fb. Incomprensibile non per il modo in cui è scritto, ma perché contrasta completamente con ciò che AlliMacDonnell era stata fino a quel momento.
– Va bene chiamare una donna brutta e cicciona? Queste parole possono veramente spingere le persone sul bordo del precipizio.
Ha scritto.
Ma come è possibile che una donna così bella può essere rimasta tanto sconvolta per uno stupido insulto su Fb?
È su questo che la polizia sta indagando in queste ore, la morte è avvenuta il 6 febbraio 2019.
Si indaga sul post Facebook, pur non dubitando del fatto che Alli MacDonnell si sia tolta volutamente la vita.
Unanime il cordoglio del mondo della moda, rappresentato dal titolare dell’agenzia Andrea Roche Agency, per la quale lavorava e da tanti altri personaggi importanti.
Con il cuore pesante, l’Irlanda ha appena perso una delle donne più divertenti, più testarde e audaci che abbia mai conosciuto, una delle prime modelle con cui abbia mai lavorato, dieci anni in cui hai cercato di infondermi coraggio.
Non ci stupiamo di tali attestati di stima, perché Alli si mostrava a tutti per quel che era, una persona simpatica, una di quelle donne che hanno la rara dote di riuscire empatiche anche alle altre donne, per intenderci.
Basta andare sulla bacheca Facebook di Alli MacDonnell per rendersi conto di chi era:
una bellissima e dolcissima mamma!
La top model irlandese, che era una mamma single, lascia infatti quattro figli: Alex di 17, Sara di 15, Harry di 9 e Siena di 3 anni, di cui due affetti da autismo; una sindrome che come lei stessa raccontava in un’intervista, non conosceva fino a quando non l’hanno diagnosticata al suo Harry.
Ma che cos’è Autismo e come si manifesta?
“L’autismo (dal greco αὐτός (aütós) – stesso) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale che provoca ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi.[2] I genitori di solito notano i primi segni entro i due anni di vita del bambino e la diagnosi certa spesso può essere fatta entro i trenta mesi di vita. Attualmente risultano ancora sconosciute le cause di tale manifestazione, divise tra cause neurobiologiche costituzionali e psicoambientali acquisite” (Citazione da Wikipedia)
Scoprire che suo figlio fosse affetto da questa sindrome era stato per Alli MacDonnell un dolore profondo, che era riuscita a superare proprio grazie all’amore della sua famiglia e all’impegno nell’associazione Autism Action. Il suo attivismo era un modo catartico di trovare sollievo nell’alleviare le sofferenze degli altri.
E proprio grazie all’aiuto che donava agli altri in lei era ritornato il sereno, perché si sentiva parte di una squadra, in cui ogni mamma poteva gioire dei progressi del proprio figlio nella dura lotta quotidiana alla malattia.
Per questo forse è facile intuire che il suo cuore abbia ricevuto un altro duro colpo, quando ad ottobre ha scoperto che anche la più piccola delle sue bambine è affetta dalla stessa patologia dell’altro. Due figli gravemente malati per una mamma sola. Certamente l’equilibrio psicologico di questa donna ne è rimasto sconvolto.
Bella, intelligente, simpatica, da amare; eppure Alli MacDonnell era sola.
Era sola quando gestiva le crisi dei suoi figli, era sola quando gioiva per i loro progressi, era sola quando dopo un incomprensibile stupido insulto ha scelto di farla finita. Un insulto che, indipendentemente dalla gravità delle parole utilizzate, è riuscito a generare l’acme della sofferenza, dettata dal profondo senso di inadeguatezza della donna. Un’inadeguatezza, che andava ben oltre la taglia dei vestiti.
Ma qualunque sia stato il motivo scatenante del suo gesto tragico resta il rammarico più grande: ù
il pensiero che Alli, una donna abituata ad eccellere in ogni campo, non ce l’abbia fatta a metabolizzare che la malattia, come l’aspetto fisico d’altronde, con la perfezione non c’entra nulla, che i suoi figli avevano bisogno di lei, tutti e quattro, e che stavano certamente meglio con lei, una mamma che li adorava, che ora senza.
E allora facciamo in modo che la sua morte non sia un sacrificio inutile, ma sia un esempio per tutte.
Donne, mamme, se vivete una difficoltà, qualunque essa sia, chiedete aiuto. Parlatene. Soprattutto ricordate che i vostri bimbi, i vostri cari hanno bisogno di voi esattamente per come siete: amorevoli e imperfette.