Come spiegare la sindrome di Down ai bambini, vorrei partire da un ricordo personale ma significativo:
una mattina me ne stavo sola soletta fuori i cancelli della scuola, aspettavo che passassero le interminabili ore dell’inserimento, quando mi ha attratto un discorso tra mamme a me sconosciute. Il tema era il cambio di sezione e il perchè, quello vero, era piuttosto desolante: in classe era stato richiesto il sostegno per un bimbo. Malgrado nessuna parlasse apertamente, tutte sembravano concordi : perché poi che ne sai che ti capita? E come puoi spiegare ad un bimbo di tre anni che l’amichetto è affetto dalla sindrome di Down? E se poi le maestre non lo sanno gestire? E se è violento o dà fastidio?
Le ho guardate e tra me e me ho sorriso. No, non sono impazzita, semplicemente so cosa vuol dire la disabilità e avrei voluto tanto spiegarglielo.
Ho avuto cura di mio padre per dodici anni per una malattia neurologica e so quanto queste cose facciano paura agli adulti. La difficoltà ad approcciare a ciò che rende “diversi” la leggevo spesso negli occhi di chi lo guardava. È come se ci fosse una strana legge interiore, politically correct diciamo, per la quale quando ci confrontiamo con la disabilità noi adulti fingiamo di non vederla. Quasi la persona che troviamo di fronte fosse trasparente. Le parliamo, le sorridiamo, ma non entriamo mai veramente in contatto con lei e non per mancanza di disposizione, ma per paura di ferirla, per paura di farla sentire diversa. Questo per chi lo vive sulla sua pelle fa male, più della disabilità stessa.
Ciò posto, per spiegare la sindrome di Down ai bambini è necessario partire dalla considerazione della diversità nel cuore e nella testa degli adulti.
Mentre quelle mamme giustificavano la loro “incomprensione” e mancanza di accoglienza, io dicevo a me stessa:
ma se reagiamo così noi, gli adulti, che conosciamo il mondo e le sue regole, come possiamo pretendere di spiegare a bambini di tre anni o giù di lì che cos’è una qualsiasi disabilità? Come possiamo spiegare ai bambini la sindrome di Down o qualsiasi altra differenza fisica, mentale, culturale o emozionale?
Spiegare la sindrome di Down ai bambini è molto più semplice di quanto non possa sembrare, eppure non ce ne accorgiamo, perciò quel giorno sorridevo amaramente, perché quelle mamme non avevano compreso che i bambini a differenza nostra vivono senza barriere.
I nostri figli non hanno filtri, quelle pesanti catene del pregiudizio in cui a volte rischiamo di rimanere imprigionati noi adulti loro non le conoscono, al contrario sperimentano la propria individualità sentendosi speciali, a prescindere. Se anche notano un atteggiamento diverso dal loro modo di comportarsi in un altro amichetto, per i bambini non è la sindrome di Down a fare la differenza, ma è il carattere, la specialità, la peculiarità del bimbo e difficilmente ciò diviene preclusivo, almeno in tenera età e fuori dal condizionamento degli adulti.
L’atro è istintivamente oggetto di una naturale curiosità da parte del bambino. Meno gli adulti insinuano dubbi, più i bambini riescono a fondere le loro diverse entità senza traumi, rotture, disgregazioni e vessazioni.
Ma praticamente come si fa a spiegare la sindrome di Down ai bambini?
Basterà rispondere con semplicità ai loro perché sulle differenze che notano nell’amico e torneranno a giocare come prima.
– Mamma, perchè non parla bene?
– Perchè già nella pancia della mamma aveva una difficoltà, piano piano imparerà e giocando con lui anche tu riuscirai a capirlo sempre un pochino di più. Anche tu da piccolino parlavi male, poi hai imparato.
Ognuno ha i suoi talenti, anche i bambini diversamente abili ne hanno.
Il compito del genitore dovrebbe essere quello di condurre il figlio alla scoperta dei tesori della vita, anche negli atri. Nelle persone questi tesori sono i talenti. Pertanto, anche dinnanzi ad un diversamente abile, l’adulto deve accompagnare il bambino verso il confronto volto a scoprire le qualità proprio di quel bimbo speciale che si differenzia per l’aspetto, la voce, l’atteggiamento, eccetera.
Se due bambini, normali o diversi, sapranno guardarsi con gli occhi del rispetto saranno inevitabilmente attratti l’uno dall’altro e sulla base di questo naturale stimolo alla reciproca scoperta impareranno da soli a darsi e ad avere degli spazi comuni.
A quelle mamme avrei voluto dire che proteggere i nostri figli da ciò che può sembrare in prima battuta diverso è un errore, perché la diversità invece è insita in ognuno di noi, fa parte della nostra individualità e merita di essere preservata sempre, del resto essa è ciò che ci rende unici.
Proprio qualche giorno fa al parco giochi c’era una bambina dolcissima con due codine dai grandi fiocchi blu. Mia figlia aveva provato più volte a parlarle, ma lei non le rispondeva. Era per l’appunto affetta da sindrome di Down e credo avesse problemi di ipoacusia. Allora la mia piccola mi si è avvicinata e voleva le spiegassi perché non le rispondeva. Io le ho detto semplicemente che non lo sapevo, ma ero certa che se glielo avesse chiesto di nuovo avrebbero giocato insieme. A fine giornata mi ha detto:
Mamma, la bimba con le codine era simpatica. Ci siamo divertite molto. Anche se non mi rispondeva.
Insomma a chi fa paura la disabilità, a noi o ai bambini? Chi la nota di più? Se vogliamo davvero conoscere la risposta, ci basterà osservare loro, i nostri figli.
Per spiegare la sindrome di Down ai bambini non sono necessarie teorie.
Le persone affette da questa sindrome hanno difficoltà a compiere alcune cose banali per esempio parlare correttamente, scrivere bene, andare in bicicletta, tuttavia i loro progressi aumentano con l’esercizio e il giusto supporto.
Con l’aiuto di amici, parenti, insegnanti e medici i piccoli affetti da sindrome di Down possono ottenere il raggiungimento di tantissimi traguardi.
- La prima regola è non discriminare ma includere:
Mamma perchè non mi risponde? A questa domanda il figlio normodotato va incoraggiato a trovare una risposta autonoma, probabilmente ritentando un approccio riuscirà a entrare in empatia col coetaneo e a trovare un canale di comunicazione non imposto dall’adulto, quindi nemmeno condizionato dal pregiudizio e dal preconcetto;
- La seconda regola è partire dall’esempio:
Mamma perchè non parla bene? A domande come questa l’adulto dovrebbe rispondere con una comparazione, un esempio semplice e capace di portare in sè una risoluzione positiva.
Come te da piccolino, ancora non parla bene ma imparerà. Io ti capivo perchè ti conoscevo, giocando con lui, pian piano, comprenderai sempre meglio il suo linguaggio.
- La terza regola è la normalità: come per le mamme che parlavano del bimbo diversamente abile, la diversità è spesso un concetto appartenente più al mondo degli adulti che non a quello dei bambini. Se noi adulti ci comportiamo con spontaneità, rappresentando un buon esempio, è facile che lo facciano anche i bambini che naturalmente includono.
WONDER il bestseller internazionale di R.J. Palacio edito da Giunti, è una delle opere della letteratura contemporanea più capaci di parlare di inclusione in termini concreti. August, Auggie per chi lo ama (anche per me che lo sto leggendo col trasporto del cuore), insegna anche agli adulti a declinare il verbo accogliere e l’inclusione diventa un esercizio degli occhi contro le prospettive della mente.
Sebbene il protagonista non sia affetto dalla sindrome di Down, se vi siete chiesti come spiegare la sindrome di Down ai bambini, o se in questo momento sentite la necessità di approcciare più seriamente al problema dell’accoglienza della diversità, vitadamamma non può non invitarvi a questa lettura.
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