Il test integrato in gravidanza è un test di screening che integra i risultati della misurazione della traslucenza nucale e di altri risultati biochimici ottenuti tramite prelievo e analisi del sangue. E’ utile per la diagnosi di malattie cromosomiche e/o malformazioni e anomalie del feto.
Cos’è il test integrato in gravidanza
Il test integrato in gravidanza è un test di screening e pertanto è un esame non invasivo. Permette di scoprire anomalie del corredo cromosomico, come ad esempio la trisomia 21 che dà luogo alla sindrome di Down o la trisomia 18 responsabile della sindrome di Edwards.
A differenza dei test invasivi come villocentesi e amniocentesi, queste indagini non analizzano direttamente il cariotipo del bambino, cioè non guardano direttamente i cromosomi del piccolo e perciò non è necessario effettuare prelievi di cellule fetali che potrebbero comportare un rischio di aborto.
Non avendo rischi di recare danno al nascituro il test integrato in gravidanza può inoltre essere effettuato dalle donne senza particolari condizioni di rischio, ad esempio le mamme con meno di 35 anni e senza altri figli già affetti da anomalie cromosomiche.
Vengono misurati dei valori biochimici e morfologici che successivamente permettono di esprimere una percentuale di rischio: non vi è dunque una certezza che il bambino sarà sicuramente sano o sicuramente malato. Viene segnalato se il feto ha un’alta o una bassa probabilità di rischio di essere portatore di malattie. Questo può aiutare le future mamme e i futuri papà a decidere per esami più invasivi o per altre alternative.
Quando fare il test integrato in gravidanza
Il test integrato in gravidanza non è un test unico, ma è costituito da diversi esami che si devono effettuare in tempi differenti. Solo dopo avere avuto i risultati di tutti i singoli esami è possibile integrarli e avere una risposta univoca.
Il primo esame da fare è la misura della translucenza nucale, cioè la valutazione ecografica dello spessore della plica nucale, uno spazio che si trova tra la nuca e la pelle del bambino.
Questo esame va effettuato tra l’11a e la 14° settimana di gestazione quando la plica nucale è maggiormente caratterizzata e il bambino ha una lunghezza tra i 4,5 e gli 8,4 centimetri.
Nello stesso periodo di gravidanza a questa ecografia specifica si associa anche il dosaggio di due proteine del sangue, per cui è necessario sottoporsi a un prelievo: sono valutate la β-hCG (frazione beta libera della gonadotropina corionica) e PAPP-A (proteina plasmatica A associata alla gravidanza).
Il secondo test va effettuato tra la 14° e la 18° settimana e consiste nel dosaggio ematico di tre marcatori: l’alfa-fetoproteina (αFP), la beta-gonadotropina corionica (β-hCG) e l’estriolo libero (uE3).
Uno svantaggio del test integrato può essere dunque quello di dover aspettare i risultati di tutte queste analisi, attesa che può essere vissuta con una certa apprensione. L’integrazione però di tutti questi valori con anche determinate caratteristiche di ogni singola coppia permette di ridurre la percentuale di possibili falsi positivi, che spesso coincidono con quei casi dall’esito non chiaro o dubbio.
Cosa viene studiato nella prima fase del test integrato in gravidanza
Nel test integrato in gravidanza si studiano diversi possibili indicatori di difetti cromosomici o di malformazioni fetali.
- La prima analisi da fare è il cosiddetto bitest o test combinato.
Normalmente, durante la gravidanza e fino al parto, aumentano i livelli di PAPP-A (Pregnancy-Associated Plasma Protein A), cioè una proteina prodotta da alcune cellule dell’embrione e dalla placenta.
La hCG (human Chorionic Gonadotropin) è un ormone prodotto dalla placenta e nel primo trimestre può essere misurato sia in forma libera (free β-hCG) che l’hCG totale. In genere anche questo marcatore aumenta progressivamente nel circolo materno nelle prime 8-10 settimane di gravidanza, ma successivamente diminuisce e si stabilizza durante la gravidanza.
Fattori di rischio in questo primo esame possono essere un’aumento notevole della free β-hCG e una riduzione della PAPP-A. Anche uno spessore maggiore della translucenza nucale può essere un segnale di rischio aumentato di alterazioni cromosomiche o possibili malformazioni, come difetti del cuore e dei grossi vasi sanguigni o anomalie strutturali dello scheletro.
Cosa studia la seconda fase del test integrato in gravidanza
Nella seconda fase del test integrato in gravidanza si raccolgono i valori di tre marcatori che vengono inseriti con le caratteristiche peculiari di ogni coppia in una formula matematica per presentare una stima del rischio di avere un figlio affetto da diverse possibili condizioni.
Oltre ad anomalie del corredo cromosomico questo test permette anche di stabilire una percentuale di rischio per alcune malformazioni del tubo neurale, come ad esempio la spina bifida.
La concentrazione di alfa-fetoproteina aumenta nel sangue della mamma se il feto ha anomalie del tubo neurale o della parete addominale. In questo caso quindi è consigliabile effettuare come esame di approfondimento un’ulteriore ecografia verso la 20° settimana. In caso di alterazioni del numero di cromosomi invece questa proteina tende a diminuire del 25-30%. Anche l’estriolo libero diminuisce in caso di trisomie.
La concentrazione di beta-hCG invece aumenta in caso di trisomia 21 e diminuisce in caso di trisomia 18.
Come leggere i risultati del test integrato in gravidanza
Il test integrato in gravidanza ha un’accuratezza (cioè una capacità di dare un risultato corretto) pari al 95%, con una percentuale molto bassa di casi falsi positivi (più o meno 1%).
Si può migliorare ulteriormente questa capacità e ridurre lo scarto di dubbio eseguendo un’ecografia per valutare lo sviluppo dell’osso nasale (tra l’11° e la 20a settimana) e valutando nel secondo prelievo anche un altro marcatore chiamato inibina A, i cui valori si innalzano in presenza della trisomia 21.
È importante ricordarsi che il test integrato in gravidanza è costituito da test di screening, cioè test che danno come risultato una percentuale di rischio.
Questo vuol dire che dall’integrazione di questi risultati viene fuori una sempre una probabilità, ad esempio 1:1000 indica una possibilità su 1000 che il bambino sia affetto da una qualche anomalia ed è una possibilità nettamente inferiore ad 1:100, che indica la possibilità di un caso su 100 che nasca una figlio malato.
Un risultato positivo non conferma la presenza di una malattia al 100%, così come un risultato negativo non la esclude completamente.
Alla presenza di un’alta percentuale di rischio, è quindi consigliabile e giustificato effettuare dei controlli ulteriori e degli esami più invasivi per confermare la presenza della malattia.
Fonte immagini: it.123rf.com con licenza d’uso