“Mia figlia mi mostra la bellezza del mondo. Attraverso lo scompenso cardiaco, la glicemia bassa, la sindrome di Down e quasi la morte, lei sorride!“
E’ con queste parole che la sua mamma presenta Kitty.
Kitty, bambina con la sindrome di Down, non è una creatura comune, lei è una testimonianza speciale di amore e coraggio.
Questa bambina con la sindrome di Down e uno scompenso cardiaco importante, ha combattuto contro la glicemia bassa, ha subito due interventi chirurgici invasivi ed è stata vicina alla morte.
Quando gli occhi di chi non conosce il dolore incontrano un diversamente abile comunemente non vedono altro che la malattia e il disagio di quella persona. In realtà dietro la “diversità”, per esempio dietro gambe che non corrono, occhi che non vedono, parole che non liberano pensieri in modo “normale”, c’è molto e molto altro ancora.
Così come i limiti oggettivi anche la forza, l’attaccamento alla vita e la tenacia dei malati non sono soltanto una loro prerogativa; queste caratteristiche, tutte le caratteristiche della malattia, investono (e travolgono) l’intera famiglia che accoglie il disabile.
La mamma ha un ruolo centrale nella vita delle famiglie con disabilità; è dai genitori che dipende l’intera trama dei rapporti tra fratelli e, se questo vale sempre, il peso della madre è ancora più insistente nei rapporti tra fratelli normodotati e non.
La madre che accetta (e l’accettazione viene prima dell’atto di partorire) è la mamma che accompagna tutti nell’accoglienza. Solo lei può essere la fata capace di trasformare il dolore in magia, lo fa come Re Mida faceva con l’oro: tutto ciò che tocca diventa amore, persino le ferite, le medicine e le cure.
Laddove la madre manchi di accettate tutto si perde nel dolore perché viene meno il motore dell’amore.
Ebbene questa premessa serve per dire che la storia di Kitty è anche quella della sua mamma, colei che per prima ha fortemente amato e creduto nella vita.
Tutto ebbe inizio alla 20esima settimana di gravidanza, la numerosissima famiglia di Kitty era assiepata in una piccola stanza per l’ecografia.
Tre i fratelli maggiori, di cui uno veramente piccolissimo, nato appena 12 mesi e due settimane prima del parto di Kitty, e ancora una sorella, figlia del papà e già in età di college, questa la numerosissima famiglia della piccola!
“La stanza dell’ecografia era così calda! Il nostro ecografista sembrava così serio in volto, mentre tutti noi eravamo assolutamente pieni di gioia, ridevamo e parlavamo durante l’esame. […] Ad un certo punto il caldo ha preso il sopravvento nella stanza e abbiamo mandato i ragazzi con il bambino fuori.”
Queste le parole della mamma, il suo ricordo degli ultimi momenti di quiete prima della tempesta.
Una volta rimasti da soli con l’ecografia, i genitori di Kitty furono travolti dalla peggiore delle notizie: il dubbio che qualche cosa non andasse come doveva.
La bimba con la sindrome di Down era, allora, in utero da poche settimane, appena 20, e i medici non potevano dare risposte certe ma incominciavano già a individuare dei segnali di allarme. Il primo, nella sede di quell’ecografia, fu un difetto cardiaco associato alla visione non conforme di un osso del naso.
Bambina con la sindrome di Down, i primi marker del difetto genetico comparvero durante un esame ecografico.
Ma le risposte erano vaghe e alla mamma fu consigliato un test genetico. La donna aveva 36 anni e 3 figli sani. La condizione più difficile per lei incominciò esattamente in quel momento e fu allora che si sentì chiamata ad accettare.
In un recente racconto della loro storia, la mamma di Kitty confessa che nelle settimane che la separarono dalla verità, ovvero quelle in cui attese gli esiti del test, lei stessa entrava e usciva dall’accettazione.
Entrare e uscire dall’accettazione è assai diverso dall’entrare ed uscire dallo sconforto. La prima, l’accettazione, è un percorso e non un sentimento. Le mamme dei bambini speciali, come i familiari (papà,fratelli, nonni, zii), sanno bene che i sentimenti devono lasciare spazio ai percorsi. Anche l’amore, nelle sue molte manifestazione, diventa un percorso quando ad amare e ad essere amato è un bimbo diversamente abile. I sentimenti sono istintivi e semplici, i percorsi tal volta vanno costruiti e possono essere in salita.
“Nel giorno del mio 36esimo compleanno arrivò una chiamata inaspettata. Era il medico della clinica, lo conoscevo bene, mi chiamò per dirmi che il nostro bambino aveva la sindrome di Down. L’avevo già accettato e mi ero completamente assuefatta al convincimento che quello che stava accadendo faceva parte del viaggio della mia vita“, racconta la mamma.
Quello che gli altri non vedono, mentre guardano la malattia nel suo complesso, è il lavoro delle mamme dei bambini diversamente abili: le madri diventano infermiere e dottoresse esperte, loro debbono imparare tutto sul corpo del bambini, lo devono scomporre nella loro mente persino prevedendone le reazioni.
“Stavo imparando molto sul corpo di questo bambino e non avevo ancora idea del suo genere. I difetti cardiaci: il difetto del setto atriale (ASD) e il difetto del setto ventricolare (VSD)“, ricorda la madre di Kitty.
Sebbene Kitty non fosse ancora nata e tutto sembrasse già “il peggio” la loro battaglie era appena iniziata. Presto emerse anche un difetto del tratto digestivo.
La bambina con la sindrome di down, un importante disfunzione cardiaca, era affetta anche da un’interruzione del tratto gastrointestinale tale da impedirle la completa digestione.
La prognosi per Kitty si era dunque aggravata: la bimba avrebbe dovuto subire due operazioni dopo la nascita, una al cuore ed una all’intestino.
“Poi arrivò il giorno. Mi svegliai con i dolori del parto. Erano passate due settimane dal primo compleanno di Kai. Sono pronta! […] Durante il travaglio ricordo le preghiere tra le contrazioni dicevo: Per favore, Dio, salva questo bambino!“
Dopo la nascita della sua bimba con la sindrome di Down, il cuore “da sistemare” e l’intestino “da completare”, alla mamma furono concessi solo quindici minuti di affetto, abbracci e coccole, Kitty doveva essere trasportata nella terapia intensiva neonatale di un ospedale specializzato, lì i medici l’avrebbero monitorar e osservata attendendo quanti più giorni possibile prima degli interventi.
A cinque giorni di vita Kitty ottenne la sua”riparazione intestinale” ma il cuore era l’organo vitale più preoccupante e a rischio per questa bimba con la sindrome di Down e la vitalità di una combattente.
Tra i due interventi Kitty dovette affrontare un’altra battaglia, questa volta contro il glucosio basso, una condizione già da sola pericolosa.
Le cure per la bambina con la sindrome di Down sono state complicatissime, l’unico medicinale che poteva equilibrare i suoi livelli di zucchero nel sangue era a rischio perché entrava in contrasto con le cure per il cuore e con la condizione cardiaca della neonata.
Cinque le settimane di tempo per operare il cuore di Kitty, questo il parere dei medici espresso tenendo conto della situazione complessiva della piccola. Cinque settimane erano un tempo assai più breve di quello auspicato dal chirurgo neonatale.
Nell’attesa di quel tempo infinito Kitty ebbe la più violenta delle sue crisi cardiache e rischiò la morte. Il modo in cui la madre racconta di quegli attimi è straziante ma è insieme un inno alla vita e alla speranza:
“Dio, se la prenderai, per favore prendila ora. La sto dando a te. So che non è mia, ma è innanzitutto la tua. Per favore, non farmi soffrire. Se lei sta aspettando, prendila ora“, la mamma ricorda questa preghiera come la più difficile mai nata nel suo cuore.
“Quello è stato il momento più triste della mia vita. Non mi sono mai immaginata in una condizione del genere con nessuno dei miei figli“, aggiunge.
La bimba con la sindrome di Down è oggi salva, trasferita all’ospedale pediatrico di Philadelphia è stata curata. Il suo corpo ha accettato il farmaco per riequilibrare il glucosio ed e’ stat dimessa, ha conosciuto la sua casa e iniziato il suo percorso d’amore con i fratelli.
“Sappiamo che sin quando sarà piccola entrerà e uscirà dall’ospedale”, afferma la mamma.
Tuttavia la consapevolezza dell’amore, l’accettazione di un percorso e l’abbraccio con la sua bambina fanno di questa mamma una testimone di amore, dell’amore puro.