Nel momento stesso in cui la genitorialità si affaccia nella vita (ovvero sin dal test di gravidanza positivo), la futura mamma e il futuro papà si domandano immediatamente e istintivamente come educare i figli bene e senza errori.
C’è chi dice che l’educazione può essere rigida, restrittiva, morbida, permissiva o punitiva. In realtà chiunque di noi si affeziona a una definizione di educazione, quella che piace a me è “educazione dolce“.
Per parte mia ritengo che educare i figli senza violenza, e con il rispetto che noi stessi pretendiamo ci venga riconosciuto, sia una scelta doverosa e morale, difficile ma etica.
In ogni caso, al di là della definizione di educazione che più aderisce al nostro modo di approcciare ai bambini, non esiste un sistema di sicuro successo per educare i figli. Escludere la violenza, rispetto alle tante e differenti impostazioni educative, dà solo una garanzia in più (una garanzia di non poco conto):
in un rapporto non fondato sulla forza ma sulla comprensione e sulla complicità, il bambino, che presto diventerà un adolescente, si sentirà più libero e capace di esprimere se stesso.
Educare i figli senza violenza ed essere una famiglia felice, ecco come fare
La buona educazione dei figli vale la felicità della famiglia perché vale la serenità di ogni suo membro. Tutto (anche educare bene i figli) punta, dunque, alla felicità.
In quest’ottica e invertendo l’ordine dei fattori, per essere buoni educatori dovremmo anche interrogarci sulla felicità:
cos’è la felicità?
La felicità è uno stato d’animo: è felice l’individuo appagato. Vista così la felicità corrisponde alla soddisfazione di mente e cuore.
Nella società contemporanea la soddisfazione emotiva è assai trascurata perché hanno preso il sopravvento le soddisfazioni materiali e la stessa felicità è stata spesso confusa col possesso.
Per educare i figli al bene e al giusto è importante mostrare loro il vero volto della felicità vivendola per quello che è intimamente, ovvero vivendola come la ricerca della soddisfazione dell’animo.
Lavorare solo per produrre danaro non equivale a raggiungere un appagamento; avere amicizie di comodo non rende felici; celare i propri sentimenti non concorre a sentirsi liberi. E rispetto a tutto questo il genitore è sempre modello di vita, specchio e traccia da seguire.
Per educare i figli senza violenza servono più azioni che parole
Erroneamente si crede che l’educazione punitiva e quella corporale (o violenta) siano più concrete di quella dolce e dialogante.
Se un genitore sculaccia o schiaffeggia fa qualche cosa, mette in essere un’azione tangibile finalizzata a suo modo (ma non necessariamente ben finalizzata) a educare i figli. Il potere d’impatto e di impeto di questa azione la rende fortemente concreta.
Conforto, parola, incontro e progetto sono i quattro comandamenti dell’educazione dialogante, servono ad educare i figli senza violenza, senza schiaffi o sculacciate, senza umiliazioni e atti di forza.
Anche confortare, parlare, incontrarsi e progettare per trovare vie e soluzioni equivalgono a un fare, ovvero incarnano delle azioni. Rispetto a queste azioni c’è un però: sono atti materiali messi in essere principalmente attraverso la parola e come tali pretendono il dialogo.
Quando la parola fa da vettore all’educazione la correzione del bambino punta a sfondare le barriere dell’apparenza per arrivare al cuore.
E qual è allora l’inganno? La trappola è che sembra più “attivo e reattivo” il genitore che dà uno schiaffo rispetto a quello che fa un discorso. Questa apparenza è del tutto ingannevole.
Lo schiaffo (azione tipica dell’educare i figli in modo coercitivo e punitivo) zittisce il bambino che piange ma non lo mette in condizione di comprendere l’errore. Più velocemente e banalmente lo spinge in un isolamento difensivo: “smetto di piangere per non sentire altro dolore e per non subire altra sopraffazione, nel frattempo odio chi mi ha picchiato“, così pensa il figlio.
Il bimbo sculacciato o schiaffeggiato non riflette sull’errore o sul comportamento sbagliato, più immediatamente si attiene al silenzio imposto da una forza superiore a cui non può reagire. Ingoia il suo malessere che nel cuore si accresce divenendo distanza dall’adulto e sta zitto fin quanto basta a calmare le acque.
Nel momento dello schiaffo o della sculacciata il genitore non è esempio, non è amore, non è conforto, non è saggezza, agli occhi del bambino ogni mano che si alza contro il suo corpo è irresistibile paura.
Per non parlare del fatto che nel momento delle botte si dimostra al figlio che la violenza è uno strumento di risoluzione dei problemi: “io (genitore) ti picchio, tu (bambino) sei fisicamente inferiore e, non potendo “vincere” devi soccombere“, tutto questo equivale a dire “figlio mio impara sin da subito che nella vita vince il più forte“.
E state sicuri che sfuggire all’arroganza della sopraffazione è emotivamente difficile, pertanto non è inusuale che un bambino picchiato picchi, morda, urli, sia impertinente e tendenzialmente portato a sovvertire le regole.
Il dialogo ha tutto un altro effetto emotivo: parlare permette anche ai bambini di focalizzare i propri errori esprimendo il sé; consente loro di capire qual è stato l’errore e come porvi rimedio, dà ai figli una positiva prospettiva del rapporto col genitore perché mette l’adulto a disposizione del bambino come esempio, traccia, specchio e rifugio.
Nel dialogo (sintesi di tutte le azioni necessarie ad educare i figli senza violenza) genitore e bambino non sono in opposizione, all’opposto nella parola c’è incontro.
Per educare i figli senza violenza è necessario condurre il bambino alla definizione di bene e male
Diciamo subito che l’educazione si costruisce sugli errori e su un corrispondente sistema di regole.
Ragioniamo attraverso un esempio pratico: il fratellino tira i capelli alla sorellina, il genitore gli impone la regola della non violenza.
Ma cosa succede nella mente del bambino se all’atto dell’imposizione della regola il genitore usa la forza?
Il fratellino tira i capelli alla sorellina, il genitore gli dà uno schiaffo intimandogli di non farlo mai più.
L’uso della forza, da parte dell’adulto, è qui improduttivo e addirittura ingenera confusione nel bambino: l’oggetto dell’educazione è la violenza che il bimbo dovrebbe identificare col male, ma il genitore picchiandolo fa a sua volta uso del male come strumento di correzione. Questo confonde il bimbo che non riesce più a operare una netta distinzione tra male e bene.
Il fratellino tira i capelli alla sorellina, il genitore, dopo essersi sincerato che nessuno si sia fatto male, prende il fratellino, lo mette dinnanzi allo specchio e lo incita a tirarsi i capelli, lui non lo farà perché fa “male”! E’ qui che l’adulto costruisce il suo dialogo col figlio dando al male un carattere completo, spiegando al bambino il disvalore della violenza e il potere della parola. Solo così il figlio capirà qual è il bene e quale il male, solo così pian piano imparerà a scegliere e ad autoregolarsi.
In sintesi per educare i figli senza violenza esiste un’arma soltanto: il dialogo.
L’educazione va pensata come “un aiuto alla vita in tutte le sue espressioni” (Citazione Mario Montessori).
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