Che cosa significa essere madre e quando lo si diventa?
La maternità non è un fatto oggettivo che si realizza generando e partorendo un bambino, è, piuttosto, una condizione intima della donna che corrisponde al suo innato desiderio di avere un figlio. In questo senso coincide con l’istinto riproduttivo ed è una pulsione profonda, che si anima e si fortifica nella donna più che nell’uomo perché biologicamente il corpo della donna nasce per accogliere il figlio.
Noi mamme siamo state, saremo ed in potenza possiamo essere le culle dei nostri bambini dalla loro prima pulsione vitale sino alla nascita. E noi, con il coinvolgimento di tutto il corpo e di ogni forza fisica ed emotiva, diamo alla luce quelle creature cresciute nel nostro grembo, partorendole le “liberiamo verso la vita”.
La donna, dunque, è “biologicamente mamma”.
È la nostra natura, il fine a cui il nostro corpo propende ad orientarci verso la maternità, a farci “sopportare” l’intera gravidanza ed il parto.
L’aborto, inteso come rinuncia alla maternità, alla opportunità di generare un figlio, sembra in aperto contrasto con tutto quanto abbiamo detto circa l’istinto della donna e la sua naturale propensione ad essere mamma.
In realtà l’aborto, ancorché volontario, è sempre una soluzione traumatica e violenta per la donna. È una violazione del suo corpo, delle regole e degli equilibri che lo governano; è una rinuncia che mai si affronta a cuor leggero o che, quanto meno, non è mai facile.
La determinazione ad abortire è condizionata da una serie enorme di fattori che interessano scelte di vita, opinioni religiose, rapporti sentimentali e problematiche economiche.
Un paese civile e moderno non può trascurare il fatto che la maternità travolge completamente la vita della donna, investe il suo fisico ed interessa tutta la sua esistenza perché con l’arrivo di un figlio ogni cosa cambia completamente orientamento: per la buona crescita del piccolo tutto deve ruotare intorno a lui!
Queste ultime considerazione giustificano anche le scelte legislative nel nostro paese. Infatti, ammettendo l’interruzione volontaria di gravidanza, lo Stato ha rimesso nelle mani della donna la decisione ultima circa l’opportunità diventare o meno mamma.
La legge ha permesso l’aborto sostanzialmente perché lo Stato ha fatto suo l’orientamento laico della maternità consapevole nel rispetto della donna e delle sue scelte.
Chiaro è che ammettendo l’aborto lo Stato assume su di sé la responsabilità di disciplinarlo e l’impegno di garantire le pratiche abortiste nel rispetto assoluto della salute psicofisica della donna, che sempre va massimamente tutelata.
Ed in vero la Legge sull’aborto, L.194\1978, sin dalla nascita è stata strumento di tutela della salute femminile. Basti pensare al fatto che ha messo fine alla piaga delle interruzioni di gravidanza praticate con interventi clandestini. Ebbene si, malgrado l’aborto fosse considerato reato, c’era chi lo praticava illegalmente, ed i numeri rivelavano una diffusine del fenomeno assai importane, i casi si stimavano in oltre 250.000 all’anno.
Ma se l’aborto era reato le donne dove e come praticavano l’interruzione di gravidanza?
Lo facevano nei posti meno adatti, sovente i tavoli delle cucine divenivano “lettini operatori”; non per caso la mortalità era alta, moltissime donne incorrevano in complicanze post operatorie, assai spesso infezioni non debitamente curate degeneravano in setticemia e conducevano alla morte.
Può sembrare disdicevole ma essere benestanti consentiva l’accesso a un mercato nero degli aborti elitario: in pratica le persone facoltose in grado di pagare discrete somme di danaro potevano ricorrere a medici professionisti che praticavano gli aborti nell‘ombra ma comunque in cliniche, quindi in strutture idonee dal punto di vista igienico sanitario, nonché capaci di rispondere efficacemente alle emergenze post operatorie.