Ogni genitore dinnanzi ai figli (piccoli o anche più grandicelli) tende a non mostrare mai le proprie debolezze: il grande, l’adulto, è portato a manifestarsi come essere “perfetto”. Ma il reale modello di vita che noi genitori possiamo e dobbiamo rappresentare per i figli non è la perfezione bensì l’imperfezione.
Nel non perfetto si muovono sensibilità, debolezze, paure, aspettative e sogni … in pratica si muove la verità!
Gli adulti sono esseri imperfetti e i figli hanno bisogno anche delle frustrazioni dei genitori per rappresentare a se stessi un’immagine reale del mondo, per crescere in una famiglia in cui regni la verità e l’amore, il conforto e la comprensione.
La mamma sbagliata non esiste e la buona mamma deve superare la paura di non rispettare o soddisfare le aspettative ideali e irreali della società.
Nessuna di noi è una mamma sbagliata se nutre delle paure o se avverte il bisogno di ritagliare nella vita quotidiana uno spazio per se stessa; nessuna di noi è una cattiva madre se si sente meno donna in ragione delle attenzioni che deve al bambino o se di tanto in tanto si stanca sino alle lacrime e nel pianto si lascia vincere dalla solitudine.
Ci hanno insegnato a non manifestare il lato debole di noi perché siamo mamme e come tali per convenzione sociale dobbiamo resistere e lottare. Diciamolo pure: siamo state disegnate come icone di santità e potenza, ma tutti sanno che non siamo infallibili, tutti sanno che essere madri è lacrime e sangue prima ancora che gioie e soddisfazioni.
L’immagine iconografica della mamma perfetta ha distrutto la verità di noi donne, ci ha schiacciate insieme alle pubblicità delle famiglie felici e agli esempi di mamme televisive subito bellissime e pronte a tornare al lavoro più in forma di prima.
Io non sono una mamma sbagliata se ho mal di testa a fine giornata e mi addormento sul divano appena appoggio la testa sulla spalliera; io non sono una mamma sbagliata se piango da sola perché proprio non ce la faccio più; io non sono una mamma sbagliata se qualche volta sono troppo distrutta per vedere il bello della vita e sentirmi soddisfatta.
Se sto così male da aver voglia di scappare, posto che ovviamente non lo faccio, non lo farò e mai lo farei, non sono una mamma sbagliata, semplicemente sono una mamma umana.
Il vero punto della questione, pertanto, non è essere fallaci quanto, piuttosto, è essere convinte di non poter mostrare ai figli le proprie debolezze.
Per parte mia, quando sono stanca evito di aspettare che i nervi scattino, il volume della voce si sollevi e la mia bocca si spalanchi nel consueto urlo minaccioso: “Basta!”.
Almeno dall’età di 6\8 anni in poi, i bambini possono essere chiamati a partecipare alla stanchezza della mamma e del papà, possono conoscere i motivi delle preoccupazioni dei genitori e in qualche modo possono confrontarsi con gli adulti. Ovviamente la verità che il bambino può sperimentare deve essere per lui comprensibile e decodificabile, questo equivale a dire che ogni spiegazione va data al bimbo tenendo conto della sua età e della sua sensibilità. Ma resta il fatto che esprimere è meglio di nascondere.
La mamma e il papà sono guide e pilastri, ma non sono soltanto questo: sono e restano persone con un reale diritto all’espressione vera della propria sensibilità.
Una donna che si sente soddisfatta è portata a sbandierare i suoi successi, una mamma che si sente frustrata, invece, è portata a nascondersi. Perché?
I sentimenti negativi delle mamme restano inespressi per timore del giudizio e la mamma che si allontana dall’iconografia della perfezione si sente facilmente “sbagliata, cattiva o pessima”.
I bambini hanno bisogno delle frustrazioni dei genitori perché di fatto non hanno bisogno di genitori perfetti. Si dice comunemente che la perfezione non esiste ed è vero!
Fallace è il corpo che invecchia e si ammala; fallace è la natura che genera la pianta malata, deforme, improduttiva di frutti come un neo nella perfezione del mondo; fallace è l’animo che cede ala paura.
Se il bambino non scopre nel genitore l’imperfetto ritratto di una natura meravigliosamente fatta di difetti, avrà a sua volta paura di manifestare le su imperfezioni, a tutto danno dell’autocorrezione e dell’autocritica, insomma della crescita serena e equilibrata.
Le emozioni sono stati psicologici, lo sono anche le frustrazioni. Quando si parla di frustrazione si tende, persino erroneamente, a dare subito un’accezione patologica alla condizione di chi ne è affranto: nell’immaginario comune, il frustrato diventa colui che non sta bene con se stesso e nella società. Non sempre è così. La frustrazione può essere, come spesso avviene, anche una condizione transitoria dovuta al mancato soddisfacimento di un bisogno, pertanto generano la frustrazione anche cause esterne e conflitti interiori.
Quanto spesso i bisogni della mamma sono limitati dalla presenza del bambino o, più in generale, dalla famiglia? Molto spesso! In tutte queste occasioni la mamma è frustrata, ma non è una mamma sbagliata o cattiva, semplicemente è una mamma che deve trovare un nuovo equilibrio.
I bambini a partire dai 6 – 8 anni possono e devono conoscere le esigenze dei genitori e debbono persino sforzarsi di concorrere col loro apporto positivo alle esigenze familiari.
“Mamma è preoccupata perché ha cambiato lavoro e adesso tornerà a casa un’ora dopo. Dobbiamo riorganizzarci.”
Quando un figlio conosce la ragione delle ansie dei genitori, non solo si avvia verso una comprensione adulta della vita, ma addirittura si responsabilizza. E, oltretutto, impara a oggettivizzare gli eventi.
Non tutti i genitori considerano che i bambini non cascano nelle finzioni degli adulti, tal volta semplicemente le assecondano. I figli avvertono lo stress e il nervosismo di mamma e papà e facilmente fantasticano sulle cause della tensione familiare, possono persino arrivare a sentirsene parte scatenante con conseguente chiusura e paura.
Abbiate il coraggio di manifestarvi ai figli nella vostra verità, non sarete una madre sbagliata o un cattivo padre se sarete umani.
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