La nostra è la società del “non piangere”, quando un bambino piange la prima reazione dell’adulto (sia essa emotiva, verbale o materiale) è volta a fermare le lacrime.
Molto spesso, come genitori, interpretiamo il pianto come un “evento fastidioso” (anche socialmente sconveniente) e pertanto quando un bambino piange ci sforziamo di far sì che smetta quanto prima.
“Piangere è una cosa bella”, per parte mia lo dico sempre ai miei figli! E ciò senza nulla togliere al fatto che tutti, non solo i bambini, dovrebbero imparare il valore dei pianto.
Quando un bambino piange esprime un’emozione, positiva o negativa ma pur sempre forte.
Non è cosa né proficua né giusta la repressione del pianto, alla quale si arriva anche quando si chiede al bambino di non piangere, quando si distrae il piccolo dal pianto o quando si cerca una soluzione di compromesso (che non sempre è fruttuosa e quasi mai è educativamente corretta).
Il pianto è uno sfogo emotivo, pertanto quando un bambino piange va rispettata la sua libertà di manifestare i sentimenti che prova e va ricercata l’origine delle lacrime.
Posto che piangere è liberatorio, il primo tabù di cui liberarsi è quello relativo alla negatività del pianto. Mai dire a un bambino: “Come sei brutto quando piangi”, oppure “Sembri una femminuccia, smetti di piangere”, o anche “Piangi come un bambino piccolo, smettila”.
Molti genitori tentano di distogliere l’attenzione del bambino dall’origine del suo pianto, in realtà un bimbo a partire dai 3 anni in poi ha tutte le facoltà emotive ed intellettive per ragionare sulle sue emozioni e dovrebbe vantare il diritto di ricevere dal genitore spiegazioni che possa comprendere e metabolizzare con facilità.
“Perché piangi? Dillo a me ne parliamo insieme.”
Questa frase apre un confronto sul pianto e allo stesso tempo fa sì che il bambino riponga fiducia nell’adulto e si affidi al suo conforto.
“Lo so che è difficile da accettare. Ci sono passata anche io, ora mamma ti racconta cosa le è successo …”
Queste parole dette con dolcezza e pazienza predispongono il bimbo all’ascolto e l’esempio diviene per lui uno specchio, spunto e principio di riflessione.
Mai promettere, invece, questa o quella cosa in cambio della calma e del silenzio: “Se smetti di piangere ti do qesto o quello“. I bambini educato con la formula del “ricatto” imparano a praticarlo e ogni qual volta vorranno qualche cosa piangeranno e faranno i capricci pur di ottenerla.
“Posso stare qui con te, ti abbraccio e quando vorrai parleremo”.
Quando un bambino piange non è tanto importante reprimere il suo sfogo quanto, piuttosto, è essenziale dargli conforto e fargli sentire che può contare sull’appoggio del genitore.
Se il bimbo si sente giudicato per il solo fatto di piangere il pianto passa dall’essere uno sfogo al divenire una frustrazione.
E’ proficuo riportare l’attenzione del bambino sulla causa del pianto e insieme “distruggerla” facendo capire al piccolo che tutto passa, che tutto va ridimensionato e affrontato tenedo conto del vero peso delle cose.
“Sei caduto? Ti sei Spaventato? Fammi vedere le tue gambine, guarda tu stesso: non ti sei fatto nulla!” oppure “Ti sei solo graffiato, basta disinfettare e passerà tutto” o anche “Ti sei spaventato? Hai paura del buoi? Accendiamo la luce e guardiamoci intorno insieme, vedrai che non ci sono morti nascosti!”.
Il bimbo che piange è disarmato e il compito del genitore è quello di condurlo per mano verso il recupero delle sue sicurezze.
“Tutto si risolve”; “Queste cose capitano”; “Sono certa che la prossima volta sarai più fortunato”; “Domani potrai tornare al parco o mangiare altra cioccolata”.
Quando un bambino piange il genitore deve mostrargli anche una via d’uscita positiva. Spingerlo a guardare oltre il momento di dolore che sta vivendo aiuta il bambino ad affrontare le sue angosce e paure.
Dialogo ,confronto, conforto, giusta valutazione delle cose e dei problemi, positività sono questi i principi che devono ispirare il genitore quando un bambino piange e manifesta i suoi sentimenti tra le lacrime.