Il parto è senza dubbio ciò che di più antico si può trovare nella storia dell’uomo e l’evoluzione del parto, in tempi moderni, ha dato origine all’assistenza ospedaliera che garantisce più possibile la salute di madre e figlio, fino a diminuire drasticamente le complicanze ad esso correlate. Questo spesso è andato a discapito della naturalezza del parto, fino alla sua medicalizzazione vera e propria. Il parto africano è un tentativo di ritornare alle origini del parto, pur garantendone tutte le precauzioni.
Il parto africano, cos’è?
Il parto africano deve il suo nome al fatto che si rifà ad un parto più possibile naturale. Nell’ultimo secolo, proprio l’Africa è rimasto l’unico continente dove, per varie motivazioni sociali e culturali, è maggiormente possibile assistere ad un parto completamente naturale nei villaggi, dove la donna è libera di muoversi come meglio crede, assecondando il suo corpo e spesso in un ambiente completamente naturale.
Ciò che in questo ambiente rappresenta la normalità, seppur spesso involontaria, nei nostri paesi “civilizzati” rappresenta una grande eccezione. Parallelamente ad un ritorno al parto in casa, seppur assistito, si fa strada una nuova concezione del parto africano, supportato da alcuni medici nelle strutture ospedaliere.
Come avviene il parto africano
Il parto africano è comunque un parto guidato dal medico ma dove questi assume semplicemente la funzione di voce guida senza intervenire fattivamente nel processo. La donna viene invitata a rilassarsi, viene dato un grande spazio alla rassicurazione e alla fiducia nelle proprie capacità. E’ importante che la neomamma si nutra a sufficienza prima del parto, che riceva la giusta dose energetica per affrontare al meglio e con forza il parto.
Secondo la “filosofia” che sottende questa metodica, la mamma già sa, a livello ancestrale, come comportarsi e che posizione assumere, viene solo invitata a farlo come per “ricordarlo a se stessa”: si suggerisce dunque di stare sdraiati su un normale lettino con le gambe accovacciate sul petto, in posizione fetale.
Dal punto di vista simbolico è un’immagine grandiosa perché la mamma è come se si riproponesse al suo stesso ciclo vitale nella stessa posizione in cui nascerà il proprio figlio! Non è però solo una motivazione metaforica ma vi è una spiegazione fisiologica a questa posizione: le gambe flesse sul petto aiutano la spinta in modo naturale e aiutano la mamma a sentirsi maggiormente protetta. Il bimbo scivola nel canale vaginale in modo assolutamente naturale così come in modo altrettanto consequenziale arriva alla fase espulsiva senza traumi e sforzi particolari.
Così facendo il bambino è accompagnato alla nascita in modo spontaneo e il bacino della mamma aumenta il suo diametro in modo evidente rispetto alla tradizionale posizione supina, avvalendosi di un’apertura fino al 30% maggiore. Di fatto la posizione classica sembra che faciliti molto l’assistenza medica ma non agevoli né la mamma né il parto.
A conclusione del parto è auspicabile che sia la stessa mamma a prendere il suo bambino, dunque è lei la prima a toccarlo e a ad appoggiarlo su di sé! Un’esperienza che deve senz’altro essere meravigliosa.
Quando si può effettuare il parto africano
Il parto africano è frutto di una mentalità ancora non troppo diffusa e dunque non è possibile farne una richiesta ufficiale presso una struttura ospedaliera, come ad esempio si fa con il parto in acqua. Vi sono alcuni medici che hanno abbracciato questa possibilità e la propongono alle partorienti che non presentano difficoltà o rischi particolari. Bisogna avere la “fortuna” di capitarvi.
La concezione del parto come un evento che deve rimanere più naturale possibile sta prendendo sempre più piede e, ad esempio, in America ha dato vita ad un nuovo reality che si chiama “Born in The Wild” (Nato nella Natura), che parte dall’idea di una mamma che ha voluto partorire sulle rive di un fiume.