Buchi, fori, cilindri cavi, sopratutto se raggruppati, possono generare la cosiddetta tripofobia, una “patologia” capace di indurre chi ne soffre in stati di ansia e paura non controllati né facilmente controllabili.
Per definizione la tripofobia rappresenta la paura dei buchi, etimologicamente la parola riporta al greco τρύπη, buco, e φοβία, paura.
Per sgomberare il campo da ogni fraintendimento diciamo subito che la tripofobia non è una malattia ufficialmente riconosciuta e classificata come tale (non a caso introducendo l’argomento abbiamo virgolettato il termine “patologia”); allo stato attuale la tripofobia non è contemplata nel Manuale dei Disordini Mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana.
Tuttavia esistono persone che provano sconcerto, smarrimento e persino terrore dinnanzi ad oggetti forati, cavi, scavati o con numerosi piccoli buchi; team di esperti hanno studiato le reazioni umane dinanzi a fiori di loto o alveari, formicai o tane di animali, coralli o particolari tipologie di cute animale, cioccolato aerato o anche bolle di sapone e acne. A quanto pare la paura è tanto maggiore quante più sono le cavità e di solito si manifesta allorquando i fori sono ravvicinati tra di loro e allorquando essi abbiano una certa profondità.
L’ultima ricerca scientificamente fondata condotta sulla tripofobia è stata portata a termine presso l’Università dell’Essex, gli scienziati hanno selezionato ben 76 immagini tripofobiche, andando assai oltre le foto-tipo comunemente proposte su internet (laddove molte immagini di tipo tripofobico vengono diversamente immesse in rete, mostrate dai siti web che puntano a raccogliere e mettere in contatto i soggetti che soffrono o credono di soffrire della paura dei buchi).
Gli scienziati di Essex hanno condotto la loro selezione fotografica su basi mediche ipotizzando una ragione biochimica a fondamento della paura e quindi della reazione di repulsione verso i fori. Al contrario, i siti web che raccolgono le foto tripofobiche stimolano anche repulsioni dettate da “pregiudizi” culturali, col rischio di sminuire il valore delle ricerche medico-scientifiche.
Qualcuno sostiene che la malattia non esista, sul sito dell’università di Essex viene esplicitamente allontanata l’idea che si tratti di una bufala, la repulsione umana dinnanzi ai fori esiste e ricorre in più e più soggetti; bisogna capire se la tripofobia dipenda da ragioni socio culturali o da fattori biochimici, solo nel secondo caso sarà una patologia.
Secondo gli scienziati, nei soggetti predisposti alla paura dei fori, le immagini tripofobiche risveglierebbero ansie recondite, forse ereditate dai nostri avi che nel misurarsi con la natura incontaminata erano costretti a scoprire e fronteggiare animali pericolosi o piante velenose. Non sarebbe un caso, secondo gli studiosi di Essex, che tra le altre immagini tripofobiche vi è quella del polpo ad anelli blu.
Gli studiosi dell’Università di Essex hanno anche sottolineato che tutte le immagini tripofobiche presentano caratteristiche comuni e non solo in fatto di forma: gli oggetti, gli animali, le piante, le malattie o i cibi fotografati hanno dei buchi, dei fori o delle cavità, quindi sotto l’aspetto della forma sono similari, ma tutte le foto sono accomunate anche da un alto contrasto di colori in particolari distribuzioni spaziali, fattore di carattere visivo che potrebbe influenzare le reazioni cerebrali.
Gli studiosi di Essex sono probabilmente convinti che la tripofobia sia una patologia, infatti arrivano al punto di suggerire una cura: secondo il team di scienziati guardare con frequenza le immagini tripofobiche aiuterebbe il cervello a familiarizzare con esse fino a sminuire la paura e a normalizzare l’ansia.
Laddove si considerasse, invece, la tripofobia non come una malattia ma come una contaminazione culturale, il senso di repulsione avrebbe una ragione banale e si misurerebbe con abitudini comuni e condizioni sociali.
Voi cosa provate guardando queste immagini? Vi sentite potenzialmente a rischio tripofobia?