La mamma … Chi è la mamma e qual è il suo ruolo all’interno della famiglia?
Sono tante e diverse le teorie sociologiche sulla differenziazione dei ruoli di genere (e quindi del ruolo materno e del ruolo paterno) all’interno del sistema famiglia.
Parsons e Bales, due teorici funzionalisti, sostengono che la famiglia, di particolare importanza nel processo di organizzazione della personalità e di socializzazione dei figli, ha bisogno di due ruoli diversi (e quindi di due persone diverse) per svolgere adeguatamente la sua funzione.
Secondo Parsons la famiglia – in particolare nella sua forma nucleare – può considerarsi alla stregua di un gruppo ristretto, perché tante sono le analogie fra la struttura di questi gruppi e la struttura della famiglia nucleare propri della nostra società. Questa analogia porta a concludere che anche nella famiglia si formi, nel sottosistema genitoriale (cioè quello composto da madre e padre), la doppia leadership tipica dei gruppi ristretti: in particolare e nonostante i cambiamenti che hanno investito oggi i ruoli legati al genere, il marito-padre si specializza nella funzione “strumentale” (è l’individuo “delle idee”) e la moglie-madre si specializza nella funzione “espressiva” (è l’individuo “più gradito”).
Proprio per la capacità di procreare e di allattare i figli, la donna sarebbe portata quasi automaticamente ad identificarsi con il ruolo di partner espressivo, orientato al gruppo, un ruolo che riguarda i rapporti all’interno della famiglia, come la cura dei figli e la risoluzione dei conflitti; mentre l’uomo, che non è in grado di svolgere queste funzioni biologiche, sarebbe portato a svolgere il ruolo di partner strumentale, orientato al compito, ruolo che concerne i rapporti della famiglia con il mondo esterno e con le attività che producono reddito, in primo luogo il lavoro.
Questa teoria è stata molto criticata perché legittimerebbe un insieme “tradizionale” di ideali sui ruoli femminili e maschili e, di conseguenza, materni e paterni. Eppure questa attribuzione e differenziazione dei ruoli opera ancora profondamente nella nostra cultura e nel sistema familiare. E ciò lo si nota soprattutto quando ci troviamo a discutere sulle famiglie monoparentali. Ma in che senso?
L’attuale tessuto sociale è caratterizzato dalla presenza di una pluralità di tipologie familiari: famiglie allargate, ricostituite, di fatto, adottive, monoparentali e anche omosessuali.
In quest’ottica, quindi, non ci troviamo di fronte alla tanto discussa crisi dell’istituzione famiglia, bensì di fronte alla sua diversificazione. Un processo, questo, che è stato favorito da diversi fattori, tutti riconducibili ad una sempre minore differenziazione tra ruolo femminile e ruolo maschile. Ma non solo.
Nelle famiglie monoparentali, la più diffusa tra le nuove realtà familiari, assistiamo addirittura a quella che è stata definita la “femminilizzazione delle responsabilità familiari”: le donne, le mamme, di oggi sono più intraprendenti, autonome, audaci, indipendenti e più determinate nella realizzazione di obiettivi che oltrepassano l’ambito familiare e si orientano verso l’esterno, grazie anche ad una maggiore partecipazione al mercato del lavoro. Lo stereotipo secondo il quale la realizzazione della femminilità debba passare obbligatoriamente attraverso la relazione con il maschile, in una sorta di complementarità di funzioni, è stato progressivamente abbandonato dall’assunzione da parte della donna, della mamma, di tutta una serie di attività in precedenza di esclusiva competenza dell’uomo, del padre. Uscire dalla coppia per la donna non ha significato abbandonare le proprie aspirazioni alla maternità o alla genitorialità.
Tuttavia tutto ciò non si è però ancora tradotto, almeno nel nostro Paese, in un cambiamento culturale che legittimi anche un sistema familiare composto non soltanto dalla coppia madre-padre, ma da un solo genitore. Le famiglie monoparentali, che nella maggior parte dei casi sono costituite dalla madre e dalla prole, sono ancora valutate in termini di carenza ed incompetenza educativa e sono ritenute responsabili di importanti disagi nei figli in quanto considerate “mancanti” ed inadeguate.
Ma una cosa è certa: non è l’assenza fisica del padre ad essere di per sé pericolosa e fonte di possibili problematiche psicologiche nei figli, ma la carenza delle funzioni genitoriali. Certo, per le mamme single (per scelta, per un divorzio subito o ancora per vedovanza) non è facile assumere entrambi i ruoli e le competenze genitoriali, è difficile essere contemporaneamente chi punisce (tipica funzione normativa del padre) e chi coccola. Ma trovare un buon compromesso tra il troppo e il troppo poco è già un ottimo punto di partenza.
Ricordiamoci che la mamma perfetta non esiste. Il grande Winnicott, uno psicanalista di stampo freudiano, ha detto che, per una buona educazione dei propri figli, non bisogna cercare di essere delle madri perfette, ma delle madri sufficientemente buone. Delle madri passabili, che educano bene i propri figli, con le loro ansie, le loro preoccupazioni, la stanchezza, gli scoramenti ed i sensi di colpa. Delle madri che, consapevoli dei propri sentimenti e dei propri limiti, sanno rispondere adeguatamente ai bisogni dei figli.
Il vecchio adagio “la madre insegna ad amare e il padre a vivere” (che sottolinea la differenziazione delle funzioni e del ruolo svolto dai genitori nell’armonico sviluppo del bambino) è ben lungi dall’essere sorpassato. E credo che sia meglio così. Basta ragionare in termini di ruoli e non di generi.