Leo e Samuel sono padre e figlio, il loro abbraccio, che rappresenta e testimonia una storia del tutto inusuale, ha fatto il giro del web in pochissimi giorni:
Leo è nato con la sindrome di Down e ora vive da solo col suo papà perché la mamma avrebbe deciso di non prendersene cura.
Infatti, secondo quanto riportato dalle fonti web (che ricalcano tutte un’intervista concessa da papà Samual), la mamma di Leo solo 7 giorni dopo aver partorito ha chiesto il divorzio.
Poco dopo la nascita il piccolo e suo padre hanno, quindi, lasciato l’Armenia, terra d’origine della mamma e luogo ove il bambino è venuto al mondo, e si sono trasferiti in Nuova Zelanda.
Dalla Nuova Zelanda proviene Samuel e il trasferimento sarebbe stato indispensabile al neo papà per riorganizzare la sua vita accanto al figlio; nella terra natia Samuel ha, infatti, ritrovato l’affetto e l’aiuto fattivo e materiale della sua famiglia.
E’ stato lo stesso Samuel a concedere al web la sua storia: la vicenda di questa nascita segnata dall’abbandono si è diffusa in rete in ragione di una raccolta fondi promossa dal neo papà che al popolo del web ha chiesto concretamente aiuto.
Samuel ha aperto una pagina web intitolata “Portare Leo a casa”, il suo scopo ultimo è raccogliere abbastanza fondi per sostenere la crescita e le cure del figlio.
Samuel vorrebbe prendersi cura di Leo a tempo pieno almeno sino all’anno di vita del bambino, i fondi raccolti gli consentirebbero, per i prossimi 10\11 mesi, di in poter rinunciare al lavoro quasi completamente per dedicarsi a Leo.
Ebbene mentre la pagina web, ”Portare Leo a casa”, riscuote un enorme successo, è pari a circa 500.000 dollari la cifra accumulata grazie alle donazioni;
mentre Leo e Samuel sono in Nuova Zelanda;
mentre il web si commuove e al contempo “rifiuta” l’idea che un bimbo possa essere abbandonato da chi lo ha partorito;
la mamma dall’Armenia urla, attraverso Facebook, la sua verità e fa sapere di non avere abbandonato suo figlio ma di essersi trovata costretta a fare una scelta difficilissima, la più difficile della sua vita.
E’lungo, emozionato e difficile il messaggio che Ruzan Badalyan affida a Facebook per raccontare la sua maternità, la nascita di Leo e la separazione dalla famiglia.
Prima di raccontare la verità della mamma di Leo la redazione di Vita da Mamma ritiene importante una precisazione: a differenza di molti altri portali, www.vitadamamma.com nel trattare la storia di Samuel e Leo non fece menzione del nome della mamma. La redazione decise di omettere il nome della madre perché considerava la raccolta fondi come lo scopo ultimo e nobile della diffusione della storia.
Oggi il nome di Ruzan Badalyan deve necessariamente essere fatto perché questa mamma, attraverso Facebook, racconta del suo ruolo e delle sue scelte in una vicenda difficile, complessa e delicatissima. Per cui come è stato dato spazio alla voce e alla verità di Samuel è corretto ed indispensabile dare spazio alla voce ed alla verità della mamma.
Va premesso che è difficile riportare le parole di Ruzan Badalyan senza un’interpretazione.
L’invito è a leggere il testo originale sulla pagina Facebook della mamma che è aperta, lo sforzo, nel contempo, sarà da parte nostra quello di non aggiungere nulla al racconto della madre.
La mamma di Leo non nega di avere chiesto il divorzio ma non nega nemmeno la sua sofferenza di donna, di moglie e di madre:
Ruzan Badalyan ricorda il 21 gennaio, giorno della nascita di Leo, ricorda che erano le 6.30 del mattino quando il suo bambino è venuto al mondo.
Il primo ricordo non è però il felice abbraccio col neonato, il suo pianto o l’emozione dei suoi occhi, la memoria della mamma va all’allarme che si percepiva intorno al piccolo e alla
partoriente, alla preoccupazione visibile dei medici.
”Mi ricordo le facce tristi di miei parenti e i medici e la diagnosi che suonava come un verdetto: ” il bambino è nato con la sindrome di Down.”, scrive la mamma e dalle sue parole si capisce che con ogni probabilità nemmeno lei era a conoscenza della patologia che affligge Leo.
L’Armenia è un paese in cui la famiglia è sacra e i figli sono considerati centrali ed essenziali nelle dinamiche familiari e sociali ma il rispetto dei fanciulli viene meno quando questi siano affetti da una patologia come la sindrome di Down, la mamma scrive che i bimbi Down in Armenia vengono spesso affidati “affidati” agli orfanotrofi.
Questi pregiudizi culturali sono stati subito avvertiti da Ruzan Badalyan:
“Ho incontrato gli sguardi evasivi dei medici, ho visto gli occhi macchiati di lacrime sui volti dei miei parenti, ho ricevuto telefonate di condoglianze e allora ho capito che solo il trasferimento in un paese con una cultura diversa, come la Nuova Zelanda, avrebbe soddisfatto il diritto di mio figlio a una vita dignitosa”, scrive la mamma.
La donna richiama anche l’attenzione sul suo stato, sulle condizioni fisiche del post parto, sullo choc, sulla pressione emotiva, sociale e familiare. Nel farlo, e qui non posso non esprimere una opinione personale da donna e da mamma, Ruzan non si giustifica ma chiede rispetto per una scelta che è stata fatta per dare a Leo una migliore opportunità di vita.
“La prima cosa che è ho pensato dopo la diagnosi è stata che non voglio che mio figlio cresca in un paese dove alcuni stereotipi dominano la vita delle persone disabili lasciandole senza nessuna opportunità”, aggiunge la mamma.
Forse, ed anche qui scivolo in una personalissima opinione da donna, la mamma di Leo vorrebbe dare risalto al fatto che il bambino non avrebbe potuto permettersi la vita che si merita in Armenia, quindi la decisione di partire per la Nuova Zelanda è stata, per il piccolo, la migliore scelta possibile, la più giusta per il destino del bambino.
La donna non fa mistero del fatto che il rapporto col marito non ha funzionato è non nega di avere domandato il divorzio, a fronte di ciò chiarisce che non avrebbe potuto decidere di prendersi cura di Leo da sola in Armenia, come, al contrario, può fare Samuel da solo in Nuova Zelanda:
l’Armenia non accetta e non accoglie i disabili; non esiste un sistema di supporto governativo né sono elargiti aiuti economici in favore delle famiglie con figli diversamente abili; non ci sono strutture di supporto. A ciò la donna aggiunge un dettagliato e mesto resoconto della sua condizione economica, concludendo, quindi, che non ce l’avrebbe fatta materialmente a crescere suo figlio da sola nella sua terra.
L’urlo di dolore che si palesa nelle parole è nitido:
questa mamma nega di avere rifiutato suo figlio e chiede comprensione e rispetto.
Nel ricordare le ore successive alla nascita di Leo la donna rivive il suo senso di smarrimento e di solitudine e chiede che si rettifichi la notizia secondo cui lei avrebbe dato un ultimatum al marito, di fatto non lo avrebbe mai dato, avrebbe invece pensato, per le ragioni di cui sopra, ad un trasferimento del piccolo in Nuova Zelanda. Tuttavia nella determinazione dei modi e dei tempi di detto trasferimento probabilmente la famiglia ha risentito del dolore, dello stress e dello sconforto dividendosi drammaticamente.
“ … la storia è rimbalzata su ogni piattaforma possibile senza nemmeno provare a darmi voce, accusandomi di avere messo fine al mio matrimonio dando un ultimatum a Sam, o me o il bambino, ciò non è assolutamente vero”, scrive la mamma di Leo.
Alla voce di questa mamma va dato lo stesso spazio e il medesimo credito che è stato dato alla voce del papà, l’interesse ultimo per Leo, e questa è l’ultima considerazione da mamma che oso esprimere, sarebbe in teoria sempre quello di avere accanto madre e padre se non insieme come coppia quantomeno vicini come genitori.