È ammissibile che una mamma induca suo figlio in uno stato patologico determinando nel bambino una malattia fisica e mentale?
La logica comune coniuga la parola mamma col verbo curare e associa all’azione materna soltanto la protezione del figlio. Tuttavia la psicologia umana è complessa e l’animo può tradire anche il cuore.
La medicina contemporanea riconosce e studia casi di madri criminali in grado di “ridurre i figli alla condizione di malati” più o meno gravi.
Non sono mamme capaci di uccidere volontariamente e immediatamente (con un’azione finalizzata o di impeto) il proprio bambino, ma si tratta di madri psicologicamente instabili che per attirare su sé stesse le attenzioni, la stima, la pietà e il riguardo del mondo colpiscono i bambini subdolamente e tragicamente: queste donne sono tutte affette dalla Sindrome di Münchausen per procura.
Cos’è, come si manifesta e che conseguenze ha sul bambino e sulla mamma la sindrome di Münchausen per procura?
La sindrome di Münchausen per procura è una serissima patologia psichiatrica che normalmente affligge il genitore o la persona che stabilmente si prende cura di un bambino o di un disabile, con maggiore frequenza questa patologia interessa le madri.
La mamma afflitta dalla sindrome di Münchausen assume dei comportamenti (a volte traumatici per il figlio e spesso violenti) atti ad indurre il bambino-vittima in una situazione patologica, situazione in ragione della quale il piccolo arriva a presentare evidenti sintomi di un disturbo fisico o psicologico.
Ci sono mamme che, attraverso una sistematica pressione psicologica, arrivano a far credere al bambino di essere gravemente malato, al punto da indurlo a manifestare i segni di un disturbo che oggettivamente non ha. Queste madri ripetono costantemente al figlio frasi inquietanti, come: “Tu stai male” o “Tu devi morire” e raccontano al bambino episodi, sintomi e manifestazioni di una malattia che il piccolo assolutamente non ha ma che, giorno dopo giorno, si convince di vivere.
E ci sono madri malate che, in maniera ancora più violenta e inconcepibile, inducono nel bambino i sintomi di una malattia letteralmente “avvelenando il figlio”, somministrandogli sostanze nocive (velenose per natura o per uso improprio) e\o ferendolo volontariamente. Le ferite indotte dalla madre malata sul corpo del bambino possono essere di diversa entità, vanno da bruciature a punture; in particolare vengono punti quei bimbi vittime di avvelenamento ed in genere la mamma che avvelena mente al bambino facendogli credere che l’iniezione sia curativa.
La donna affetta da sindrome di Münchausen è, dunque, capace di compiere azioni manipolatorie, di tipo fisico e psicologico.
Ma perché lo fa? Perché costringe la vittima (che in questo caso è un bambino o un indifeso, cioè un diversamente abile) in una condizione di dolore e sofferenza?
Lo scopo ultimo dell’aggressore affetto dalla sindrome di Münchausen è quello di far sospettare che il bambino (comunemente il figlio) sia affetto da una malattia più o meno grave che richieda cura, dedizione, frequenti consulti medici, ricoveri ospedalieri o addirittura interventi chirurgici.
Queste madri malate agiscono per appagare un personale bisogno di affermazione sociale, sono comunemente donne dalla cultura alta o elevata ma non professionalmente e personalmente soddisfatte.
Le statistiche consentono di tracciare l’identikit della mamma affetta dalla sindrome di Münchausen:
- si tratta di donne dal buon livello di istruzione e con una cultura medica (anche costruita in totale autonomia);
- comunemente queste mamme vengono considerate dal personale medico e paramedico come molto collaborative;
- prestano apparentemente tanta attenzione alla cura del bambino e si dimostrano capaci di dialogare con medici ed infermieri anche svolgendo delicati compiti pratici sul piccolo paziente;
- sono madri molto presenti;
- espongono pubblicamente la propria condizione di mamme “colpite da una tragedia” e amano essere considerate, sostenute, compatite;
- spesso le madri che soffrono della sindrome di Münchausen sono state bambine vittime di abusi e violenze.
La ferita psicologica che la sindrome lascia sulle piccole vittime è profondissima.
I bambini vittime di madri criminali possono recuperare buone condizioni di salute ma il loro cuore resta devastato dal dolore. Questi figli vengono privati del bene più grande: l’amore assoluto, pulito e disinteressato della mamma o dell’adulto che di loro dovrebbe prendersi cura.
Non è escluso che col cronicizzarsi di una sindrome simile la vittima possa perdere la vita, ovvero non è escluso che il bimbo possa essere ucciso.
Le intossicazioni dell’animo e ancor di più quelle del corpo (quindi l’avvelenamento) inducono nei bambini, vittime di mamme malate, sintomatologie soggettive che dipendono dalla reazione del fisico e dell’anima. Questo fa sì che il piccolo paziente appaia, agli occhi dei medici e degli operatori sanitari, come affetto da una malattia tutta sua difficile da classificare, individuare e curare.
Oltretutto per diagnosticare la sindrome di Münchausen alla mamma o a chi a cura del bambino occorrono le prove (registrazioni video, intercettazioni ambientali, è necessario individuare il modus operandi dell’aggressore e lo strumento usato per l’azione criminosa).
Legalmente la malattia fa divenire l’aggressore, sebbene malato, colpevole di un reato contro la persona: si tratta di maltrattamenti, a seconda dei casi fisici o psicologici, e l’azione criminosa rientra nell’alveo della violenza sui minori.
La condotta criminosa si aggrava col rapporto di parentela nonché in considerazione della vulnerabilità delle piccole vittime. Oltretutto i metodi utilizzati per indurre la malattia possono richiedere spesso lesioni fisiche violente e costanti, quindi possono essere definiti come metodi crudeli.
Comunemente le madri affette dalla sindrome di Münchausen negano di conoscere le cause della malattia dei figli ma con ostinata costanza si dimostrano decise a trovare l’origine della patologia e perseverano in indagini mediche sempre diverse e sempre approfondite.
Sulle pagine web del quotidiano La Repubblica.it sono state pubblicate le conclusioni di un importante studio italiano sulla sindrome di Munchausen, a compire la ricerca esperti medici e psicologi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore- Policlinico universitario Gemelli di Roma: dallo studio emerge che la sindrome di Münchausen è una patologia rarissima che il più delle volte non viene diagnosticata per cui i casi denunciati potrebbero essere molto pochi rispetto a quelli reali.
I ricercatori hanno campionato 751 bambini ricoverati nel reparto di Pediatria del Gemelli di Roma, li hanno esaminati nel periodo che va dalla fine del 2007 all’inizio del 2010. Il dato allarmante è che quasi nel 2% dei pazienti esaminati è stato individuato e documentato un cosiddetto ‘disturbo fittizio’.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi ad affliggere i bambini era una malattia immaginaria inventata dal bambino stesso.
Il che, siccome la finzione del bambino è stata tale da arrivare al ricovero, implica comunque la necessità di un supporto psicologico alle famiglie. Ovviamente se un bambino piccolo mette in scena una malattia e si fa credere malato sino al punto da essere ricoverato e curato, probabilmente l’evento della finta malattia va letto come espressione plateale di un disagio profondo.
Sfortunatamente in 4 dei casi esaminati dai ricercatori è stata accertata proprio la sindrome di Münchausen ed in 3 casi su 4 l’aggressore malato era la mamma.
A livello internazionale la letteratura medica ha riconosciuto e argomentato la sindrome di Münchausenma in molti paesi del mondo, come in Italia, questo disturbo resta sottostimato.
Da un punto di vista pragmatico, e questo va detto per precisione di informazione, la patologia è difficile da classificare perché è difficile da studiare in quanto è impossibile l’osservazione del comportamento del malato nel tempo. Infatti, com’è logico, se si scopre una mamma malata che abusa del bambino, l’obiettivo non è quello di sviscerare la malattia e monitorare i comportamenti insani del malato, ma, immediatamente e senza temporeggiare, lo scopo primo diventa impedire che l’aggressore continui a fare del male alla piccola vittima.
Articolo aggiornato all’8 Giugno 2021